sabato 31 dicembre 2016

Propositi per il nuovo anno di un geologo

L'arrivo di ogni nuovo anno diventa l'occasione per fare il punto della situazione e darsi nuovi obiettivi, raggiungerne alcuni che ci siamo già posti nel passato oppure riprendere un progetto che si è lasciato da parte per troppo tempo.

Quali propositi potrebbe avere un geologo nel nuovo anno? 
Tralasciando le risposte più ovvie ma non scontate per un professionista quali più lavoro, stabilità, riconoscimento della dignità di questa bellissima professione; vi sono alcuni aspetti che i geologi professionisti tendono a tralasciare, anche inconsapevolmente. Sono le cose che ci hanno fatto più entusiasmare quando eravamo all'università e che, una volta entrati (chi ci riesce) nel mondo del lavoro, in molti non seguono più o non come vorrebbero.

Geologi al lavoro.
Fonte: Wikipedia

Fare una lista realistica di luoghi da visitare
Ci sono molti geologi che hanno la passione per le escursioni (me compreso). Molto spesso ce ne andiamo a zonzo per montagne, valli, colline, ammirando le morfologie e immaginando nei nostri occhi i vari processi che in milioni di anni hanno prodotto il paesaggio stupendo che stiamo ammirando. Allo stesso tempo, se dovessimo chiederci quali posti vorremmo visitare, ci risponderemmo con una lista infinita che tutta una vita non basterebbe. Potremmo magari stilare un piccolo elenco di luoghi che potenzialmente saremmo in grado di visitare il prossimo anno. Non è necessario pensare a mete lontane, naturalmente tutto dipende dalla situazione personale di ognuno; comunque anche solo un weekend per ammirare un piccolo scorcio di natura e di geologia può andare benissimo. L'importante è darsi delle mete raggiungibili. Riuscire a soddisfare qualcuno dei tanti desideri che abbiamo sempre rimandato può essere un buon proposito per vivere meglio il prossimo anno.

Vedere più rocce e più minerali
Sembra una cosa strana, eppure non perdere l'abitudine di raccogliere campioni quando siamo in giro per lavoro o per piacere (magari "mano nella mano" come diceva il mio prof di Geologia 1) ci aiuta a non perdere tante informazioni acquisite all'università e che possono tornare utili nella professione. Osservare le rocce con la lente d'ingrandimento di ordinanza, spaccate con il martello (che deve necessariamente essere un Estwing!) per ammirare il lato "fresco" e non alterato, ci dà la possibilità di approfondire la conoscenza dei luoghi che potrebbero essere, un giorno, oggetto di lavoro (speriamo!).
Anche i minerali hanno sempre il loro fascino. Tornare ogni tanto a visitare il Museo di Mineralogia dell'Università oppure di qualche luogo interessante per le attività estrattive, è un po' come fare quei ripassi che non fanno mai male, anche solo per cultura personale se non si è così fortunati di lavorare nel settore.

Apprezzare le risorse locali
Le foto di paesaggi lontani e suggestivi che vediamo sulle riviste specializzate mettono in moto i nostri sogni e i nostri desideri. Se invece dedicassimo del tempo a scoprire curiosità storiche, archeologiche, architettoniche e geologiche della nostra città e dintorni? Potrebbe aprirsi un mondo di conoscenza che prima non avevamo e tutto può essere utile, anche per la nostra attività professionale. Partecipare ad iniziative di diffusione della cultura locale ma anche leggere di luoghi molto vicini, tornandoci di persona e osservandoli con il nostro "occhio geologico", magari raccogliendo e catalogando campioni! 

Acquistare una nuova apparecchiatura professionale
Questo proposito è legato più strettamente al lavoro ma prenderci del tempo ad osservare il mercato potrebbe darci un'idea, uno spunto per allargare il nostro raggio di azione ed offrire un servizio più ampio. Potrebbe aprirci una nuova fetta di mercato, se siamo disposti a rimetterci a studiare e ad aggiornarci. Magari può bastare solo rinnovare qualche strumento esistente per migliorare la qualità dei nostri lavori. Tutto può darci una mano a migliorare il nostro stile di vita.

Diffondere la conoscenza
Questo credo sia il proposito più impegnativo. Spiegare la geologia agli studenti ma più in generale a chiunque sia interessato a capire il perché di terremoti, alluvioni, frane e dare indicazioni su come gestirli; far capire come si siano evoluti il nostro pianeta, il clima, la vita fino ad oggi; cercare di far provare quel "sentimento geologico" che abbiamo a chi non ha ancora le basi per godere di quelle sensazioni che noi geologi proviamo nell'osservare il mondo. Non è solo cultura ma è anche dare il giusto riconoscimento alla nostra professione; a far capire l'importanza del nostro ruolo nella società e nella amministrazione. Attraverso i mezzi a nostra disposizione. Io uso questo blog e talvolta faccio conferenze. Ma ognuno di noi ha le proprie capacità e sa come utilizzarle al meglio. Quindi sfruttiamole e probabilmente i geologi non saranno più quelli che spillano soldi per una relazione inutile e costosa. Potremmo finalmente essere visti come una risorsa per il bene pubblico, che non inventa divieti o prescrizioni così tanto per fare ma per la sicurezza di tutti.

mercoledì 21 dicembre 2016

Fascicolo del Fabbricato, passi in avanti per l'approvazione

Nonostante Renzi abbia rimesso il proprio mandato nelle mani del Presidente della Repubblica, il nuovo esecutivo guidato da Gentiloni promette continuità di intenti. Dal punto di vista della messa in sicurezza del territorio, quindi, non viene abbandonato il progetto di Casa Italia, il piano integrato che dovrà rispondere alle emergenze di sicurezza degli edifici e ambientale, mobilitando fondi pubblici e privati per progetti specifici, ben programmati e sopratutto utili. Più specificatamente legato ai terremoti del Centro Italia, è stato approvato il "decreto terremoto" che prevede lo stanziamento di 300 milioni di euro per la ricostruzione in tempi brevi. I tempi molto stretti per l'approvazione, dovuti al cambio di esecutivo, non hanno permesso di valutare gli emendamenti che sono stati convertiti in "ordini del giorno", impegnando il governo ad esaminarli. Fra i tanti c'è la proposta di rendere obbligatorio il fascicolo di fabbricato per tutti gli edifici esistenti e per quelli di nuova costruzione. La proposta inoltre prevede lo stanziamento di incentivi ad hoc, poiché il maggior ostacolo alla istituzione del fascicolo è l'obbligo (impopolare) per tutti i proprietari di sostenere costi per l'effettuazione delle indagini necessarie alla sua redazione.

Fasi di salvataggio dopo il sisma ad Amatrice.
Fonte: Wikipedia


Per chi non avesse ancora chiaro cosa sia il Fascicolo del Fabbricato:

E' stato istituito in Italia dalla delibera del 4/11/1999 del Comune di Roma, adesso è in attesa che venga reso obbligatorio in tutta Italia. Si tratta di un archivio anagrafico, aggiornato periodicamente, che contiene i seguenti dati:

1. Planimetrie e grafici che con evidenziate le modifiche di interesse strutturale
2. Le caratteristiche del sottosuolo 
3. La tipologia delle strutture di fondazione
4. La tipologia delle strutture in elevazione
5. L'eventuale presenza di fessure o lesioni 
6. La rispondenza a norma degli impianti (in particolare il rischio incendi)
7. Giudizio sintetico (diagnosi) circa il livello di degrado.

lunedì 28 novembre 2016

La Pietra Alberese

Fra le pietre ornamentali e da costruzione più diffuse in Toscana, il calcare alberese è una di queste. Il naturalista Giovanni Targioni Tozzetti, verso la fine del '700, ipotizzò che la presenza di figure a forma di "alberelli" sulle superfici di strato fosse il motivo per cui si iniziò a identificarlo con questo nome.
Si tratta di un calcare marnoso (ovvero con una bassa percentuale di argille) di colore grigio o nocciola; una lunga esposizione alla luce riesce però a schiarirlo fino a risultare quasi bianco.

In scuro i cosiddetti "alberelli" che danno il nome a questo tipo di calcare marnoso.

Inquadramento geologico

Questo tipo di calcare proviene da depositi oceanici di origine alpina che risalgono al Paleocene/Eocene inferiore (fra 65 e 50 milioni di anni fa circa). 
L'oceano esistente allora e chiamato Ligure-Piemontese (leggi questo articolo per saperne di più), è stato suddiviso dai geologi in due Domini, Interno ed Esterno (uno più occidentale e l'altro più orientale). Il Dominio Ligure Esterno è formato da diversi depositi, delimitati da contatti tettonici (sovrascorrimenti) e uno di questi è chiamato Unità Morello. Questa unità è composta da alcune formazioni: Sillano, Pietraforte, Pescina e Monte Morello (che è un famoso rilievo vicino a Firenze). I depositi di calcare alberese fanno parte di questa ultima formazione, assieme a depositi di marne (misto di carbonati e argille) e flysch carbonatici (i flysch sono depositi di frane sottomarine).
In Toscana viene generalmente denominato alberese anche il calcare o calcare marnoso di colore bianco o grigio, cavato nell'area di Santa Fiora sull'Amiata o nell'area pisana.
Schema delle unità tettoniche fra la placca europea e quella africana (Adria).
Nel rettangolo nero la posizione dell'Unità Morello.

L'unità Morello (1), conosciuta anche come Supergruppo della Calvana
quando la suddivisione non era su base tettonica ma formazionale,
comprendendo vaste aree della Toscana e alto Lazio (2 e 3).


Utilizzo

Già i romani si sono serviti del calcare alberese per la costruzione. A Firenze sono stati trovati tratti di acquedotto e di strade costruite proprio con questa pietra. Ma è a Prato e Pistoia che il suo utilizzo ornamentale è maggiore, negli edifici sacri di età medioevale, in accoppiata con il Verde di Prato per la realizzazione dello stile romanico.
Esempio di stile romanico: La chiesa di San Bartolomeo in Pantano a Pistoia

L'utilizzo del Verde di Prato e di Alberese nella chiesa di San Giovanni Fuorcivitas, sempre a Pistoia.


Un altro utilizzo comune è la produzione della calce. Il calcare a 900 °C perde tutti i composti volatili (anidride carbonica ed acqua), tale processo è detto calcinazione. Quella che si ottiene è chiamata calce viva (CaO). L'aggiunta di acqua trasforma questa in calce spenta (Ca(OH)2). Se lasciata maturare in una vasca con eccesso di acqua, si ha la formazione del grassello, utilizzato per alcuni impieghi di muratura e per gli intonaci. Con l'aggiunta di sabbia forma un legante che indurisce con il tempo: l'esposizione all'aria permette l'assorbimento dell'anidride carbonica dall'atmosfera, formando nuovamente carbonato di calcio (CaCO3) che cementa i granelli di sabbia con il materiale utilizzato, spesso ghiaie e ciottoli. 


mercoledì 9 novembre 2016

Donald Trump e il riscaldamento globale

9 novembre 2016. Una data storica per il mondo intero. Il 45° Presidente degli Stati Uniti d'America è il miliardario Donald Trump. I risvolti politici ed economici saranno tutti da verificare ma quello di cui vorrei parlare in questa occasione è del rapporto del neoeletto Trump con il fenomeno del riscladamento globale.

"E' tutta una bufala"

Secondo il "Tycoon" il riscaldamento globale è una invenzione per danneggiare l'economia americana. Così esordiva su Twitter ormai quattro anni fa, facendo capire cosa ne pensava già allora.
In campagna elettorale ha promesso di stracciare gli accordi di Parigi (COP 21) per poter favorire la ripresa economica del proprio paese, anche se esiste una clausola che impedisce ad uno Stato di abbandonare gli impegni prima di 4 anni.

Come prova, Trump evidenzia come il clima si stia raffreddando ma, capirete, la situazione non è semplice da spiegare ed è in effetti legata all'attività antropica... A questo proposito consiglio due miei post al riguardo:

Scontro con la Cina

Il grande paese asiatico è uno dei maggiori detentori del debito pubblico americano. In questi anni Obama si è speso molto per raggiungere accordi di partnership per lo sviluppo di tecnologie "green", dando un nuovo impulso a livello globale nel contrasto all'inquinamento (vedi il progetto Mission Innovation). Trump ha sempre indicato la Cina come uno dei maggiori mali che bloccano lo sviluppo economico americano. La sua probabile (adesso avvenuta) elezione ha portato lo Stato asiatico ad esprimere forte preoccupazione per gli equilibri ambientali ( di conseguenza anche economici).


Più combustibili fossili

Se da una parte Trump crede nell'inutilità di investire risorse nella "bufala" del riscaldamento globale e nelle tecnologie "green", dall'altra si è impegnato a spingere per una nuova corsa ai combustibili fossili. In una dichiarazione di questa primavera, in piena campagna elettorale, ha promesso di tagliare i fondi federali destinati al settore climatico, così da poter risparmiare fino a 100 miliardi di dollari (praticamente tutto il finanziamento statale destinato a questo scopo). Gli investimenti (come dichiarato in un'altra occasione) andrebbero invece a dare un nuovo e forte impulso al settore estrattivo di carbone, gas e petrolio, anche attraverso l'utilizzo della controversa tecnologia del fracking.



A questo punto, vedremo cosa succederà. Dobbiamo comunque ricordare che una cosa è fare dichiarazioni in campagna elettorale per vincere le elezioni, un'altra è trovarsi davvero a prendere decisioni che hanno un impatto globale.

venerdì 4 novembre 2016

L'alluvione del 1966, 50 anni dopo

A 50 anni di distanza, è un dovere ricordare ciò che avvenne in Italia nei primi giorni di quel novembre. Nell'immaginario collettivo tornano subito alla mente le immagini di Firenze, invasa dalle acque dell'Arno, e tutte quelle opere d'arte di inestimabile valore che venivano rovinate per sempre, mentre il popolo tentava il tutto per tutto per salvarle. Ma è stata anche una storia di artigiani e commercianti che dovettero far fronte ai danni occorsi alle proprie attività; semplici abitanti che abitavano al piano terreno delle zone allagate e che videro i loro pochi beni rovinati irrimediabilmente. 
Fu un evento che non colpì soltanto Firenze che ne è l'immagine più rappresentativa; in quei giorni il Valdarno, la piana fiorentina, pratese e pistoiese, Pontedera, Grosseto e la Maremma furono anch'esse allagati dalle esondazioni dei rispettivi corsi d'acqua. Anche l’Italia centro-settentrionale fu teatro di disastri: alluvioni nel Veneto, tra cui il Polesine già sommerso nel 1951 e l'acqua alta a Venezia; nonché le alluvioni nel Trentino (la stessa Trento fu colpita dallo straripamento dell’Adige).

Ma parliamo dell'evento simbolo della giornata odierna, Firenze.

Il quadro climatico

Già ottobre fu molto piovoso ed il sottosuolo era già saturo di acqua, incapace quindi di assorbire ulteriori piogge. Dalle 12 del 3 novembre iniziò a piovere intensamente per 18 ore. Furono stimati circa 200 mm di pioggia su un'area di 9000 mq; in 24 ore l'Arno trasportò circa 400 milioni di metri cubi d’acqua. 
Le precipitazioni del 4 novembre 1966. In viola l'intensità maggiore

L'onda di piena arrivò a Firenze durante la notte. Alle 6 del mattino le spallette cedettero e l'acqua si riversò nelle strade, aumentando di livello fino a raggiungere i sei metri di altezza. Soltanto durante la sera successiva l'acqua iniziò a ritirarsi, lasciando la devastazione che abbiamo ben impressa nella nostra mente.
Santa Croce devastata dalle acque dell'Arno

I risvolti politici.

Il decreto ministeriale 23 novembre 1966 affidò alla Commissione Interministeriale per lo Studio della Sistemazione Idraulica e la Difesa del Suolo, più nota come Commissione De Marchi, il compito di “esaminare i problemi tecnici, economici, amministrativi e legislativi interessanti al fine di proseguire ed intensificare gli interventi necessari per la generale sistemazione idraulica e di difesa del suolo, sulla base di una completa e aggiornata programmazione”.
Questo produsse la nascita delle Autorità di Bacino, dove i problemi sono affrontati alla scala dell' intero bacino idrografico e non separati dai confini amministrativi, dove ognuno pensava interventi in funzione solo del proprio territorio, senza valutare gli effetti sulle amministrazioni confinanti.

La Commissione De Marchi

I punti critici

In città, due sono i punti dove gli studi successivi all'evento si sono concentrati: il Ponte Vecchio e il Ponte di Santa Trinita. I piloni di sostegno dei ponti riducono notevolmente la portata del fiume; negli anni sono state abbassate le platee di un metro per aumentare la portata da 3000 a 3400 metri cubi al secondo (la piena del 1966 raggiunse i 4000 metri cubi al secondo). Molti altri interventi minori, eseguiti e previsti, hanno lo scopo di ridurre al minimo i "rigurgiti" e le turbolenze, che riducono la velocità del flusso e l'aumento del volume di acqua.
Il Ponte Vecchio. Le arcate sottostanti sono completamente sommerse.

Fuori città, la zona a sudovest di Firenze quali le Cascine e tutta l'area fino a Scandicci sono a maggior rischio esondazione rispetto al centro città: è previsto che una nuova esondazione dell'Arno in queste aree avverrebbe molto prima rispetto alla zona del centro storico.

Gli ultimi interventi comunque si sono concentrati a monte della città di Firenze. Studi idraulici hanno dimostrato che la diga di Bilancino, inaugurata nel 1999, è stata costruita troppo a monte rispetto al percorso della Sieve, rendendo pressoché inutile la sua funzione di mitigazione del rischio idraulico a Firenze. Quindi è stato previsto di agire nel Valdarno. La diga di Levane, nella sua configurazione attuale, non produce alcun effetto di mitigazione ma un suo innalzamento potrebbe ridurre la portata di piena di un 5-10%. Anche a Figline è prevista la costruzione di un invaso che permetterà una ulteriore riduzione della portata di piena di un valore superiore al 10%. Un ulteriore ampliamento sembrava previsto anche per la diga de La Penna ma dalle ultime dichiarazioni della Regione sembra che questo intervento possa essere evitato grazie agli effetti, considerati sufficienti, degli altri interventi.
Diga di Levane. Foto tratta da Wikipedia.

giovedì 27 ottobre 2016

E un terremoto a Pistoia?

In questo 2016 l'Italia centrale ha dovuto far fronte a due eventi sismici molto importanti. Le due scosse principali, la prima del 24 agosto di magnitudo 6.0 con epicentro ad Amatrice; la seconda del 26 ottobre di magnitudo 5.9 (preceduta da un'altra di magnitudo 5.4) con epicentro sui Monti Sibillini, hanno creato molta apprensione nella popolazione.
In diversi mi hanno chiesto, quindi, se anche la nostra città potesse subire, un giorno, un sisma di tali proporzioni. Da qui lo spunto per raccontare cosa dobbiamo aspettarci nella zona di Pistoia.

I terremoti storici

L'area di Pistoia è stata colpita diverse volte da terremoti più o meno distruttivi. L'intensità dei terremoti più antichi è stata stimata in base ai resoconti storici dei danni subiti dagli edifici. Pistoia risente molto anche dei terremoti generati in Lunigiana, Garfagnana e nel Mugello, che possono raggiungere intensità molto elevate.

Terremoti storici a Pistoia o nel pistoiese:
1193 - MAGNITUDO STIMATA: M 4.3
MARZO 1293 - MAGNITUDO STIMATA: M 5.6
4 OTTOBRE 1527 - MAGNITUDO STIMATA: M 5.3
17 NOVEMBRE 1904 - MAGNITUDO STIMATA: M 5.1
Terremoti storici con influenza anche su Pistoia:
07.05.1481 LUNIGIANA: M 5.6
13.06.1542 MUGELLO: M 5.9
27.10.1914 LUCCHESIA: M 5.8
29.06.1919 MUGELLO: M 6.1
07.09.1920 LUNIGIANA – GARFAGNANA:  M 6.4
(Fonte: catalogo CPTI15 dell'Ingv)

La struttura dell'Appennino settentrionale

Come già spiegato in un post sulla nascita del bacino Pistoia - Prato - Firenze, l'area toscana è caratterizzata da una tettonica di tipo estensionale, mentre il fronte che spinge verso nordest si trova oltre la catena appenninica.



Il fronte di spinta dell'Europa contro l'Africa, in questi milioni di anni si è spostato da Ovest verso Est e nei luoghi dove prima ha compresso le rocce accavallando le une sulle altre, adesso abbiamo delle depressioni dovute alla distensione che si è generata dopo il suo passaggio...

Le zone sismogenetiche

Il territorio italiano è stato suddiviso in zone cosiddette "sismogenetiche" (dette ZS), definite da limiti rappresentati utilizzando informazioni tettoniche o geologico - strutturali. Per ogni ZS è stato determinato il meccanismo di fagliazione prevalente. Per meccanismo prevalente si intende quello che ha la massima probabilità di caratterizzare i futuri terremoti significativi. Nel nostro territorio abbiamo 42 zone-sorgente e sono identificate con un numero, da 901 a 936, o con una lettera, da A a F.
La Provincia di Pistoia si trova a cavallo fra due ZS, la 915 e la 916.

ZS 915
Questa zona è caratterizzata da terremoti di elevata intensità (comprende le aree della Lunigiana, Garfagnana e del Mugello) e molto superficiali, caratterizzati da una tettonica estensionale, in continuità con le strutture presenti nelle zone più meridionali.
ZS 916
Questa zona è caratterizzata da terremoti di magnitudo inferiore alla precedente ma più frequenti e generati da strutture in distensione.

La magnitudo massima attesa per ogni ZS è stimata in base agli eventi storici ed a tutti i dati rilevati nel tempo (l'INGV è stato istituito nel 1999 ed ha riunito i maggiori centri specializzati nella geofisica e vulcanologia: l'Istituto Nazionale di Geofisica; l'Osservatorio Vesuviano; l'Istituto Internazionale di Vulcanologia; l'Istituto di Geochimica dei Fluidi; l'Istituto per la Ricerca sul Rischio Sismico). 

Il rischio

Calcolare il rischio sismico non è semplice, poiché è funzione di diversi fattori quali:
la pericolosità, ovvero probabilità che un evento con intensità nota si verifichi in una determinata area ed entro un certo intervallo di tempo;
la vulnerabilità, che è il grado di perdita prodotto su uno o un insieme di elementi esposti all'evento;
l'esposizione, che indica il valore degli elementi esposti al rischio e può essere espresso o dal numero di presenze umane o dal valore delle risorse naturali ed economiche presenti sul territorio.

A questo bisogna considerare che ogni abitazione risponde diversamente in occasione di un terremoto. Questo dipende dalla tecnologia di costruzione, il sottosuolo di fondazione, la qualità della manutenzione. Per questi motivi ultimamente si sta parlando del cosiddetto "fascicolo del fabbricato" (vedi il focus a fine articolo). 


E a Pistoia?

Sicuramente un edificio costruito o aggiornato alle più recenti normative ha un rischio minore, poiché la sua vulnerabilità è minore. La nostra città però è caratterizzata da numerosi edifici costruiti in epoche senza alcuna norma antisismica: dai palazzi storici in blocchi di pietra arenaria alle abitazioni costruite con semplici "sassi di fiume"; per non parlare di tutta l'edificazione "selvaggia" del dopoguerra. In occasione di un eventuale terremoto di elevata magnitudo, quindi, è lecito pensare che la comunità si troverebbe davanti  uno scenario di emergenza molto difficile da affrontare.
Non esistono studi scientifici al riguardo, anche se un articolo de L'Espresso riporta una stima di più di 4000 morti a cui però non mi sento di dare attendibilità, in mancanza di fonti specifiche.


Il Fascicolo del Fabbricato

E' stato istituito in Italia dalla delibera del 4/11/1999 del Comune di Roma, adesso è in attesa che venga reso obbligatorio in tutta Italia. Si tratta di un archivio anagrafico, aggiornato periodicamente, che contiene i seguenti dati:

1. Planimetrie e grafici che con evidenziate le modifiche di interesse strutturale
2. Le caratteristiche del sottosuolo 
3. La tipologia delle strutture di fondazione
4. La tipologia delle strutture in elevazione
5. L'eventuale presenza di fessure o lesioni 
6. La rispondenza a norma degli impianti (in particolare il rischio incendi)
7. Giudizio sintetico (diagnosi) circa il livello di degrado.

giovedì 24 marzo 2016

Referendum 17 aprile 2016, le ragioni del No

Dopo aver visto le ragioni del Sì e la storia normativa, vediamo l'altro schieramento.

Ci sono molte persone che vedono nel referendum un'operazione inutile e costosa, che non porterà significativi miglioramenti come auspicato dai vari comitati del Sì. Alcuni si sono espressi pubblicamente a favore del No, elencando diverse ragioni per cui il settore petrolifero debba continuare la propria attività nelle aree a meno di 12 miglia dalle coste, fino all'esaurimento del giacimento come al momento dice la normativa.

Innanzitutto l'inquinamento: le piattaforme non rilasciano alcuno scarto in mare, il catrame che vediamo sulle spiagge è dato dalle imbarcazioni. Oltretutto, i piloni di sostegno sono zone di ripopolamento ittico. Inoltre i rifiuti generati sono di gran lunga inferiori a quelli di un impianto chimico o siderurgico.
Le perforazioni interessano una porzione di fondale molto ridotta, limitatamente al foro ed ai servizi accessori del pozzo. 

Dal punto di vista lavorativo, sebbene il settore sia in contrazione, ci sono ancora 100 mila lavoratori che operano grazie a queste attività estrattive, con 400 imprese e un fatturato di 20 miliardi annui. Senza contare i soldi investiti nella ricerca.

Rispondendo a chi dice che la produzione attuale sia molto limitata rispetto al fabbisogno energetico e quindi trascurabile, viene affermato che in generale l'estrazione "in casa" del gas naturale (che è il prodotto che viene essenzialmente estratto dalle piattaforme in questione) conta fino al 70% del fabbisogno nazionale, con un risparmio in bolletta di circa 4,5 miliardi di euro all'anno.

Infine viene sottolineato che, fino a quando non sarà affrontato seriamente e definitivamente lo sviluppo delle energie rinnovabili, al momento alternative valide non ce ne sono.

Non in pochi, però, hanno puntato il dito su chi ha proposto questo referendum. Diversamente dal solito, esso non è stato chiesto dai cittadini mediante una raccolta di firme, bensì da otto amministrazioni regionali. Questo sarebbe un referendum politico poiché in materia di energia, attraverso le modifiche introdotte con la legge di stabilità 2016, l'ultima parola spetterebbe al Parlamento e non alle Regioni, che potevano ricavarne degli interessi a livello locale.

Per avere una posizione chiara al riguardo, vi rimando al sito del Comitato degli ottimisti e razionali.



Articolo tratto da: dire.it - firstonline.info - adnkronos.com

lunedì 21 marzo 2016

Referendum 17 aprile 2016, le ragioni del Sì


Innanzitutto viene evidenziato come la norma attuale non permetta l'individuazione di una data di scadenza certa alla coltivazione (i giacimenti minerari sono dello Stato ed il loro sfruttamento è dato in concessione), come invece richiede la normativa comunitaria.

In secondo luogo, a fronte di impatti e rischi ambientali, viene ricordato come la produzione delle piattaforme interessate sia infinitamente minore alla quantità consumata. Se è vero che esse producono il 27% del gas ed il 9% del greggio estratto in Italia, viene sottolineato come questo corrisponda a circa l'1% del fabbisogno nazionale. La cessione delle attività estrattive quindi inciderebbe poco o niente nella nostra economia.

Piuttosto sarebbe di un grande valore politico la vittoria del Sì, che porterebbe in primo piano il problema conosciuto della mancanza di una politica energetica indirizzata verso l'utilizzo di fonti rinnovabili, secondo gli impegni presi all'ultima conferenza sul clima di Parigi (Cop21).

Anche sul piano dell'occupazione, i comitati del Sì ribadiscono come il settore petrolifero abbia già lasciato a casa migliaia di lavoratori impiegati nella raffinazione, rispondendo a chi paventa la perdita di posti di lavoro. Piuttosto dovrebbe essere sviluppato il settore delle energie rinnovabili che, grazie agli incentivi, ha fatto registrare aumenti di fatturato ed occupazione.




Articolo tratto da Lineefuture

venerdì 18 marzo 2016

Referendum 17 aprile 2016, la storia normativa

Esplodono in rete gli appelli per votare Si o No al referendum abrogativo che vorrebbe fermare la ricerca di idrocarburi vicino alle nostre coste. La cosa che rimane oscura ai più è cosa si vuole effettivamente abrogare. Per questo ritengo utile riassumere (per quanto è possibile) la storia normativa dell'oggetto del referendum, il comma 17 dell'art.6 del decreto legislativo n.152 del 2006.

Il suddetto comma viene inserito nel 2010 ed è da allora che viene istituito il divieto di ricerca, esplorazione e coltivazione degli idrocarburi a mare entro le dodici miglia e la valutazione di impatto ambientale oltre tale limite:
17. Ai fini di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di 18 idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia marine dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, oltre che per i soli idrocarburi liquidi nella fascia marina compresa entro cinque miglia dalle linee di base delle acque territoriali lungo l'intero perimetro costiero nazionale. Al di fuori delle medesime aree, le predette attività sono autorizzate previa sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale di cui agli articoli 21 e seguenti del presente decreto, sentito il parere degli enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle attività di cui al primo periodo.
Il divieto, così come era, avrebbe bloccato le attività già in essere nelle aree entro le dodici miglia ed infatti il comma è stato modificato con decreto legge 22 giugno 2012 n. 83:
17. Ai fini di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtu' di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attivita' di ricerca, di prospezione nonche' di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. Il divieto e' altresi' stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, fatti salvi i procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge n. 9 del 1991 in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010 n. 128 ed i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nonche' l'efficacia dei titoli abilitativi gia' rilasciati alla medesima data, anche ai fini della esecuzione delle attivita' di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell'ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi. Le predette attivita'...
Con questa modifica, si permette la prosecuzione delle attività per le aziende che erano già state autorizzate al momento dell'istituzione del divieto nel 2010.

Arriviamo quindi all'oggetto del contendere, ovvero ciò che è stato modificato con la legge 28 dicembre 2015, n. 208:
17. Ai fini di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtu' di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni dell'Unione europea e internazionali sono vietate le attivita' di ricerca, di prospezione nonche' di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. Il divieto e' altresi' stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa  lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi gia' rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia  ambientale. Sono sempre assicurate le attivita' di manutenzione  finalizzate  all'adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti  e  alla  tutela dell'ambiente, nonche' le operazioni finali di ripristino ambientale. Dall'entrata in vigore delle disposizioni... 
Il referendum chiede di abrogare parte del terzo periodo, ovvero chiede di cancellare quanto segue:

"per la durata di vita utile  del giacimento,  nel  rispetto  degli  standard   di   sicurezza   e di salvaguardia ambientale"
Il periodo originale:
I titoli abilitativi gia' rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia  ambientale.
Diventa:
 I titoli abilitativi gia' rilasciati sono fatti salvi.

Questo comporta la non rinnovabilità dell'autorizzazione (ed un ritorno alle condizioni del 2012), in caso che il giacimento non sia ancora esaurito, come invece si intendeva ottenere con la modifica introdotta a fine 2015.

Se questa operazione sia da considerarsi positiva o negativa, ognuno ha e deve avere la propria opinione. Nei prossimi post cercherò di mettere insieme le motivazioni di chi sostiene il Sì e di chi sostiene il No.

In ogni caso sconsiglio l'astensione nel modo più assoluto, essendo questo un momento di democrazia per tutti.

La piattaforma Angela-Angelina, installata nel 1997 da Eni.
 Estrae gas naturale al largo della costa del ravennate, in Adriatico

mercoledì 9 marzo 2016

Antropocene, quando iniziammo ad alterare il clima? - Parte 2

Abbiamo introdotto il termine Antropocene nel post precedente ed abbiamo spiegato come gli studiosi cerchino di trovare un momento preciso e condiviso in cui l'Uomo è diventato fattore geologico, rilevante per i cambiamenti climatici.

Molti pensano alla rivoluzione industriale ma c'è chi, in controtendenza, retrodata questo inizio di diverse migliaia di anni. Il signore in questione si chiama William Ruddiman.
Ruddiman propone l'ipotesi per cui già i nostri antenati, migliaia di anni fa, avrebbero iniziato ad alterare il clima: l'avvio della pratica agricola e della pastorizia sarebbero le attività incriminate.
Per dichiarare questo, Ruddiman ha osservato l'andamento della concentrazione dell'anidride carbonica e del metano in relazione ai cicli glaciali-interglaciali.

Le ultime glaciazioni sono caratterizzate da cicli di circa 100 mila anni, durante i quali per circa 85 mila anni si ha un periodo glaciale e nei restanti 15 mila anni un periodo interglaciale.
Questi cicli sono dominati da alcuni parametri orbitali del nostro pianeta e precisamente: la precessione (che possiede cicli di circa 22 mila anni), obliquità dell'asse terrestre (con cicli di circa 41 mila anni) ed eccentricità dell'orbita (con cicli di 100 e 400 mila anni). Sono conosciuti come Cicli di Milankovitch.



L'ultimo periodo glaciale è terminato circa 11 mila anni fa e analizzando l'andamento dei gas serra nei vari periodi interglaciali precedenti si nota una sostanziale differenza: nell'ultimo interglaciale, quello attuale, le concentrazioni dei gas serra sono aumentate invece che diminuire come invece accaduto in situazioni analoghe del passato.

A sinistra l'andamento del metano in relazione alla radiazione solare.
A destra l'andamento della concentrazione di anidride carbonica.
Evidenziate dagli ellissi color nero, le anomale concentrazioni dei due gas serra che aumentano invece di diminuire.

Anidride carbonica

Le concentrazioni di CO2 che negli ultimi 350 mila anni hanno fluttuato ciclicamente, sono variate a seconda della precessione, delle variazioni dell’inclinazione dell’asse di rotazione terrestre e della forma dell’orbita del pianeta.

Metano

Le concentrazioni del metano sono aumentate e diminuite negli ultimi 250 mila anni in armonia quasi perfetta con gli alti e bassi di radiazione solare indotti dalla precessione nell’emisfero nord. Le temperature più alte hanno stimolato una produzione estrema di metano nelle zone umide, che sono la sorgente primaria di questo gas serra.


Circa 8000 anni fa quindi, l'inizio dell'agricoltura ed il seguente disboscamento avrebbero contribuito a invertire la concentrazione di anidride carbonica (che poi noi abbiamo accentuato in questi ultimi decenni con l'industrializzazione ed il sovrappopolamento).
Circa 5000 anni fa invece, lo sfruttamento intensivo di colture ad alta richiesta di acqua come il riso, grano e frumento, nonché l'allevamento di bestiame, avrebbero contribuito a invertire la concentrazione di metano.

Quello che dovrebbe essere un periodo di raffreddamento, visto che ci stiamo avvicinando ad una nuova glaciazione, si sta rivelando invece un riscaldamento
Per il futuro è previsto che il riscaldamento potrà andare avanti fino a che i combustibili fossili saranno disponibili. Quando le risorse saranno finite, la prevedibile riduzione di gas serra immessi direttamente in atmosfera e la conseguente contrazione delle attività economiche, sia agricole che di allevamento, accentuerà questa riduzione a tal punto che il naturale processo di raffreddamento tornerà ad essere dominante.




martedì 1 marzo 2016

Antropocene, quando iniziammo ad alterare il clima? - Parte 1

In questo periodo in cui le continue anomalie climatiche riescono a farsi spazio nel panorama dell'informazione (fa troppo caldo, fa troppo freddo, piove poco, piove troppo, troppa nebbia, troppo smog, troppo vento, troppa neve, poca neve ecc.), sono fioriti numerosi articoli che hanno fatto imparare una nuova parola a molti utenti della rete: Antropocene. E' l'unione di due parole greche, anthropos (uomo) e cene (recente). Ma cosa significa? 

Premetto che noi tutti abbiamo il bisogno innato di categorizzare e schematizzare tutti gli aspetti della nostra vita; lo stesso è stato fatto anche per il tempo trascorso dalla nascita del nostro pianeta fino ad oggi. Esiste infatti quella che è chiamata Carta Cronostratigrafica Internazionale, dove possiamo osservare la scala dei tempi geologici. La sua suddivisione è legata ad eventi geologici di varia natura (comparsa e scomparsa di particolari specie, variazioni climatiche e dei parametri fisici del nostro pianeta ecc.). L'epoca che ci coinvolge direttamente, l'Olocene, è iniziata circa 11 700 anni fa. E’ stata ufficialmente riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale nel 1885, sebbene in letteratura siano conosciuti e utilizzati anche altri termini quali Recente e Post-glaciale

I geologi però si sono chiesti: l'Uomo, nel corso della sua evoluzione, è riuscito ad alterare l'ambiente a tal punto da diventare esso stesso un fattore geologico da considerare nelle Scienze della Terra?

Ad oggi la risposta è quasi unanime, ovvero . La discussione semmai si concentra sul quando. Le considerazioni che vanno per la maggiore vedono nella prima e seconda rivoluzione industriale il periodo in cui l'uomo ha iniziato a modificare in modo scientificamente rilevabile i parametri fisici dell'atmosfera, attraverso l'aumento continuo dei livelli di anidride carbonica data dall'industrializzazione e il progresso tecnologico.

Incidenza della CO2 immessa in atmosfera dall'uomo dal 1850 ad oggi.
Fonte: New Ice Age

Negli ultimi anni alcuni scienziati hanno individuato anche un elemento che può caratterizzare questo periodo dal punto di vista stratigrafico: la plastica. Questa, avendo tempi di biodegradabilità dell'ordine delle migliaia di anni, sarà rintracciata dai geologi del futuro nei sedimenti in un livello ben definito e contemporaneo in tutto il mondo, tanto da poterli correlare in tutto il mondo.

Una volta sepolta dal tempo, la plastica si mantiene per migliaia di anni.
Fonte: LiveScience
Quindi, per Antropocene si intende la proposta di una nuova Epoca all'interno della Scala dei Tempi Geologici, successiva all'Olocene, caratterizzata dai cambiamenti climatici indotti principalmente dell'Uomo.

C'è anche chi la pensa diversamente, ovvero che l'Uomo abbia iniziato a modificare il clima molto prima. Attraverso una proposta molto provocatoria, pone l'inizio dell'Antropocene diverse migliaia di anni fa. Lo vedremo nel prossimo post.