Dopo aver introdotto il referendum sullo stop alla ricerca e coltivazione degli idrocarburi a mare attraverso le modifiche normative susseguitesi in questi anni, passiamo ad elencare le motivazioni dei vari comitati del Sì.
Innanzitutto viene evidenziato come la norma attuale non permetta l'individuazione di una data di scadenza certa alla coltivazione (i giacimenti minerari sono dello Stato ed il loro sfruttamento è dato in concessione), come invece richiede la normativa comunitaria.
In secondo luogo, a fronte di impatti e rischi ambientali, viene ricordato come la produzione delle piattaforme interessate sia infinitamente minore alla quantità consumata. Se è vero che esse producono il 27% del gas ed il 9% del greggio estratto in Italia, viene sottolineato come questo corrisponda a circa l'1% del fabbisogno nazionale. La cessione delle attività estrattive quindi inciderebbe poco o niente nella nostra economia.
Piuttosto sarebbe di un grande valore politico la vittoria del Sì, che porterebbe in primo piano il problema conosciuto della mancanza di una politica energetica indirizzata verso l'utilizzo di fonti rinnovabili, secondo gli impegni presi all'ultima conferenza sul clima di Parigi (Cop21).
Anche sul piano dell'occupazione, i comitati del Sì ribadiscono come il settore petrolifero abbia già lasciato a casa migliaia di lavoratori impiegati nella raffinazione, rispondendo a chi paventa la perdita di posti di lavoro. Piuttosto dovrebbe essere sviluppato il settore delle energie rinnovabili che, grazie agli incentivi, ha fatto registrare aumenti di fatturato ed occupazione.
Articolo tratto da Lineefuture
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