venerdì 4 novembre 2016

L'alluvione del 1966, 50 anni dopo

A 50 anni di distanza, è un dovere ricordare ciò che avvenne in Italia nei primi giorni di quel novembre. Nell'immaginario collettivo tornano subito alla mente le immagini di Firenze, invasa dalle acque dell'Arno, e tutte quelle opere d'arte di inestimabile valore che venivano rovinate per sempre, mentre il popolo tentava il tutto per tutto per salvarle. Ma è stata anche una storia di artigiani e commercianti che dovettero far fronte ai danni occorsi alle proprie attività; semplici abitanti che abitavano al piano terreno delle zone allagate e che videro i loro pochi beni rovinati irrimediabilmente. 
Fu un evento che non colpì soltanto Firenze che ne è l'immagine più rappresentativa; in quei giorni il Valdarno, la piana fiorentina, pratese e pistoiese, Pontedera, Grosseto e la Maremma furono anch'esse allagati dalle esondazioni dei rispettivi corsi d'acqua. Anche l’Italia centro-settentrionale fu teatro di disastri: alluvioni nel Veneto, tra cui il Polesine già sommerso nel 1951 e l'acqua alta a Venezia; nonché le alluvioni nel Trentino (la stessa Trento fu colpita dallo straripamento dell’Adige).

Ma parliamo dell'evento simbolo della giornata odierna, Firenze.

Il quadro climatico

Già ottobre fu molto piovoso ed il sottosuolo era già saturo di acqua, incapace quindi di assorbire ulteriori piogge. Dalle 12 del 3 novembre iniziò a piovere intensamente per 18 ore. Furono stimati circa 200 mm di pioggia su un'area di 9000 mq; in 24 ore l'Arno trasportò circa 400 milioni di metri cubi d’acqua. 
Le precipitazioni del 4 novembre 1966. In viola l'intensità maggiore

L'onda di piena arrivò a Firenze durante la notte. Alle 6 del mattino le spallette cedettero e l'acqua si riversò nelle strade, aumentando di livello fino a raggiungere i sei metri di altezza. Soltanto durante la sera successiva l'acqua iniziò a ritirarsi, lasciando la devastazione che abbiamo ben impressa nella nostra mente.
Santa Croce devastata dalle acque dell'Arno

I risvolti politici.

Il decreto ministeriale 23 novembre 1966 affidò alla Commissione Interministeriale per lo Studio della Sistemazione Idraulica e la Difesa del Suolo, più nota come Commissione De Marchi, il compito di “esaminare i problemi tecnici, economici, amministrativi e legislativi interessanti al fine di proseguire ed intensificare gli interventi necessari per la generale sistemazione idraulica e di difesa del suolo, sulla base di una completa e aggiornata programmazione”.
Questo produsse la nascita delle Autorità di Bacino, dove i problemi sono affrontati alla scala dell' intero bacino idrografico e non separati dai confini amministrativi, dove ognuno pensava interventi in funzione solo del proprio territorio, senza valutare gli effetti sulle amministrazioni confinanti.

La Commissione De Marchi

I punti critici

In città, due sono i punti dove gli studi successivi all'evento si sono concentrati: il Ponte Vecchio e il Ponte di Santa Trinita. I piloni di sostegno dei ponti riducono notevolmente la portata del fiume; negli anni sono state abbassate le platee di un metro per aumentare la portata da 3000 a 3400 metri cubi al secondo (la piena del 1966 raggiunse i 4000 metri cubi al secondo). Molti altri interventi minori, eseguiti e previsti, hanno lo scopo di ridurre al minimo i "rigurgiti" e le turbolenze, che riducono la velocità del flusso e l'aumento del volume di acqua.
Il Ponte Vecchio. Le arcate sottostanti sono completamente sommerse.

Fuori città, la zona a sudovest di Firenze quali le Cascine e tutta l'area fino a Scandicci sono a maggior rischio esondazione rispetto al centro città: è previsto che una nuova esondazione dell'Arno in queste aree avverrebbe molto prima rispetto alla zona del centro storico.

Gli ultimi interventi comunque si sono concentrati a monte della città di Firenze. Studi idraulici hanno dimostrato che la diga di Bilancino, inaugurata nel 1999, è stata costruita troppo a monte rispetto al percorso della Sieve, rendendo pressoché inutile la sua funzione di mitigazione del rischio idraulico a Firenze. Quindi è stato previsto di agire nel Valdarno. La diga di Levane, nella sua configurazione attuale, non produce alcun effetto di mitigazione ma un suo innalzamento potrebbe ridurre la portata di piena di un 5-10%. Anche a Figline è prevista la costruzione di un invaso che permetterà una ulteriore riduzione della portata di piena di un valore superiore al 10%. Un ulteriore ampliamento sembrava previsto anche per la diga de La Penna ma dalle ultime dichiarazioni della Regione sembra che questo intervento possa essere evitato grazie agli effetti, considerati sufficienti, degli altri interventi.
Diga di Levane. Foto tratta da Wikipedia.

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