giovedì 20 novembre 2014

Pistoia, Il dissesto degli anni '64-'66

Dopo aver raccontato come stiano le cose nel sottosuolo di Pistoia, è necessario portare a conoscenza tutti di un precedente storico che riguarda proprio il precario equilibrio fra la città e le acque che la attraversano.

Agli inizi del 1964 il centro storico di Pistoia fu interessato da fenomeni di fessurazione che si svilupparono nel tempo, prima interessando solo alcuni edifici per poi allargarsi a buona parte del nucleo storico della città e infine cessare istantaneamente all'inizio del 1967. Nel 1980 fu cercata una spiegazione a tale fenomeno e fu prodotto un documento fra gli Atti del XIV Convegno Nazionale di Geotecnica e firmato da R.Fancelli (CNR Pisa), P.Focardi e G.Vannucchi (Università di Firenze), F.Gozzi (Comune di Pistoia).

La zona di S.Andrea, dove si verificarono le prime lesioni del 1964.
Fonte: "718PistoiaSAndrea" di Geobia - Opera propria. Con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 tramite Wikimedia Commons 

Inizialmente i danni furono circoscritti alla zona di S.Andrea con il Palazzo Fabroni che cominciò a presentare crepe diffuse sui muri con cadute di intonaco dalle parti alte dell’edificio; essendo all’epoca sede di una Scuola Media, gli alunni e gli insegnanti furono trasferiti per sicurezza. In seguito anche le adiacenti case Romagnoli iniziarono a mostrare cedimenti: il pavimento del salone del primo piano si sollevò e si ruppe lungo la diagonale; inoltre apparvero sui muri lesioni considerevoli. Gli stessi fenomeni iniziarono a verificarsi anche in altri edifici della Via S.Andrea, compresa l’omonima Chiesa e la casa del parroco. Nell’evoluzione del dissesto anche Via Abbi Pazienza fu interessata dagli stessi fenomeni presso il Monte dei Pegni, casa Lomi-Lazzerini fino alla casa parrocchiale di S.Filippo; dopodiché sia la Chiesa dello Spirito Santo che di S.Francesco iniziarono a presentare gli stessi danni degli altri edifici. In questo percorso di estensione del fenomeno non fu risparmiata nemmeno La Sala dove crollarono le pareti interne dei tetti del vecchio mercato, costruiti in cemento armato solo dieci anni prima; anche le case di Piazzetta Romana e i marciapiedi di Via Buozzi presentarono crepe; persino la Chiesa della Madonna dell’Umiltà subì qualche danno seppur in misura minore. Alla fine del 1964 i danni vennero registrati su una superficie di 25000 metri quadri; un anno dopo invece avvennero su una superficie grande almeno il doppio e i pistoiesi erano preoccupati per questo fenomeno che non riusciva a trovare una spiegazione; durante questo periodo di “psicosi da dissesto” molti proprietari, timorosi di veder calare il valore dei propri immobili, non segnalarono mai eventuali danni se non in casi di lesioni gravi alle strutture. Una relazione dell’Ufficio Tecnico indicò come il 10-15% degli edifici che si trovano nell’area dal dissesto siano stati interessati da lesioni gravi; indicò anche che la spinta principale sia orizzontale con asse ovest-est in base all’esame dei danni riportati dagli edifici (pavimenti rialzati che avevano come base volte a botte al livello sottostante, che reggono bene le spinte verticali ma poco quelle orizzontali, appunto).

Le aree colpite dal dissesto. In giallo l'area interessata dai danni nel 1964 e in celeste quella interessata nel 1965.

Nell’analisi generale però è stato constatato che le case danneggiate erano assai vecchie, costruite in mattoni o pietrame, avevano fondazioni dirette e appoggianti direttamente su un terreno di riporto o su un conglomerato a matrice argillosa detto “pancone”, quindi poco profonde; molte di queste abitazioni erano state ampliate e rialzate successivamente oppure avevano cantine scavate senza fondazione. Da segnalare che in molti casi si verificarono allagamenti di cantine che erano state sempre asciutte e scantinati dove l’umidità e la muffa avevano raggiunto livelli mai visti almeno a memoria degli abitanti; questo avvenne non solo nelle aree interessate dal dissesto ma anche nelle aree più esterne al centro storico.

La “grande accusata” quindi di questo fenomeno fu la falda freatica. Furono fatte misurazioni e fu individuata ad una profondità variabile fra uno e tre metri, molto alta quindi e questo spiega il perché dei dissesti.
Più difficile invece individuare la causa che ha portato all’aumento del  suo livello. Infatti all’inizio del 1967 questi si abbassò progressivamente e cessarono improvvisamente anche i casi di lesioni alle abitazioni del centro storico. Sapendo bene che l’autunno-inverno del 1966 fu caratterizzato da piogge molto intense (vedi l’alluvione di Firenze il 4 novembre) mentre negli anni precedenti non vi furono piogge di particolare intensità, la causa dei dissesti doveva essere svincolata dalla quantità di precipitazioni sul territorio; il regime idrogeologico della falda doveva essere stato modificato quindi dall’improvviso crollo di due briglie sul torrente Ombrone il 6 dicembre ’66 in località Ponte alle Tavole (in quell’occasione crollò anche l’omonimo ponte). Bisogna tener conto che la falda freatica sul territorio pistoiese si muove in direzione NW-SE e attraversa il torrente Ombrone prima di raggiungere la città: in caso di piogge e comunque nella stagione ibnvernale, l’acqua che scorre lungo il torrente può ricaricare la falda e il crollo delle briglie (alte circa 3 metri) ha diminuito la quantità di acqua trattenuta lungo il fiume e che poteva infiltrarsi nel sottosuolo.

Le briglie però furono costruite fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo e quindi non potevano essere la causa di innesco del fenomeno (sebbene abbiano confermato che Ponte alle Tavole è il punto chiave per causare o prevenire dissesti pericolosi alla città di Pistoia), quindi fu individuata una modifica del regime idrogeologico ante ’64 nei lavori di dragaggio nella stessa area del fiume per ricavare materiale per l’ampliamento dell’autostrada A11, avvenuti negli anni ’62-’63 e compatibili con il successivo insorgere del dissesto.





Ponte alle Tavole. Luogo dove nel '66 crollò la briglia e poco dopo l'omonimo ponte.

In quell’occasione furono scavati circa 4-5 metri di materiale che probabilmente non consistevano solo in ghiaia e sabbia ma anche in limo che fungeva da impermeabilizzante naturale, aumentando le infiltrazioni nel terreno e provocando i danni che ormai ben conosciamo.

Considerando che le briglie non furono mai ricostruite e che lo spessore asportato non si è ancora ripristinato naturalmente, l’equilibrio idrogeologico della falda che interessa la città di Pistoia è molto precario e qualsiasi intervento sull’Ombrone può essere motivo di danni molto seri alla città. Se due briglie di 3 metri sono bastate per cagionare danni considerevoli a diverse abitazioni storiche, immaginiamo cosa potrebbe provocare una briglia alta quasi dieci metri proprio nella stessa zona (la pressione dell’acqua aumenta con l’altezza) nel momento in cui fosse davvero costruita la cassa di espansione ai Laghi Primavera; non solo quindi un rischio di crollo degli argini settecenteschi e pericolo inondazione della zona Ovest della città ma anche possibili allagamenti di seminterrati, problemi legati alla maggiore umidità degli edifici anche di recente costruzione e nuove lesioni agli edifici storici.

Inoltre, inteso come sia fragile e delicato il sistema delle acque sotterranee, dobbiamo chiederci se la costruzione del parcheggio di S.Bartolomeo in Pantano possa creare un ostacolo alla circolazione dell’acqua di falda e modificarne il percorso in maniera tale da compromettere la stabilità degli edifici storici che si trovano in tutta la zona Est entro il terzo cerchio di mura; questo considerando che già in fase di realizzazione potremmo avere variazioni locali del livello proprio per l’apertura dello scavo e possibili lesioni anche gravi ad abitazioni molto vecchie, nonché alla vicina Chiesa.

La Chiesa di S.Bartolomeo in Pantano nei pressi del quale potrebbe sorgere un parcheggio interrato.
Fonte: "PistoiaSBartolomeo01" di MM - Opera propria. Con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 tramite Wikimedia Commons 

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