Dopo aver visto le ragioni del Sì e la storia normativa, vediamo l'altro schieramento.
Ci sono molte persone che vedono nel referendum un'operazione inutile e costosa, che non porterà significativi miglioramenti come auspicato dai vari comitati del Sì. Alcuni si sono espressi pubblicamente a favore del No, elencando diverse ragioni per cui il settore petrolifero debba continuare la propria attività nelle aree a meno di 12 miglia dalle coste, fino all'esaurimento del giacimento come al momento dice la normativa.
Innanzitutto l'inquinamento: le piattaforme non rilasciano alcuno scarto in mare, il catrame che vediamo sulle spiagge è dato dalle imbarcazioni. Oltretutto, i piloni di sostegno sono zone di ripopolamento ittico. Inoltre i rifiuti generati sono di gran lunga inferiori a quelli di un impianto chimico o siderurgico.
Le perforazioni interessano una porzione di fondale molto ridotta, limitatamente al foro ed ai servizi accessori del pozzo.
Dal punto di vista lavorativo, sebbene il settore sia in contrazione, ci sono ancora 100 mila lavoratori che operano grazie a queste attività estrattive, con 400 imprese e un fatturato di 20 miliardi annui. Senza contare i soldi investiti nella ricerca.
Rispondendo a chi dice che la produzione attuale sia molto limitata rispetto al fabbisogno energetico e quindi trascurabile, viene affermato che in generale l'estrazione "in casa" del gas naturale (che è il prodotto che viene essenzialmente estratto dalle piattaforme in questione) conta fino al 70% del fabbisogno nazionale, con un risparmio in bolletta di circa 4,5 miliardi di euro all'anno.
Infine viene sottolineato che, fino a quando non sarà affrontato seriamente e definitivamente lo sviluppo delle energie rinnovabili, al momento alternative valide non ce ne sono.
Non in pochi, però, hanno puntato il dito su chi ha proposto questo referendum. Diversamente dal solito, esso non è stato chiesto dai cittadini mediante una raccolta di firme, bensì da otto amministrazioni regionali. Questo sarebbe un referendum politico poiché in materia di energia, attraverso le modifiche introdotte con la legge di stabilità 2016, l'ultima parola spetterebbe al Parlamento e non alle Regioni, che potevano ricavarne degli interessi a livello locale.
Per avere una posizione chiara al riguardo, vi rimando al sito del Comitato degli ottimisti e razionali.
Articolo tratto da: dire.it - firstonline.info - adnkronos.com