martedì 3 novembre 2015

GeoTrip #6: La Valle del Sestaione e i segni della glaciazione

Al confine fra Toscana ed Emilia Romagna c'è una piccola valle che, quasi unica nel suo genere, ha conservato durante i millenni la testimonianza di un antico passato, quando i ghiacciai perenni opprimevano le Alpi e anche sull'Appennino Settentrionale lingue di ghiaccio scendevano dai rilievi più alti e modellavano il paesaggio. Un mondo dove si muoveva l'uomo sul finire del Paleolitico assieme all'orso delle caverne, il camoscio alpino, la marmotta e specie visibili ancora oggi (come daini, cervi, cinghiali, comunque tutti reintrodotti successivamente perché scomparsi).



La Valle del Sestaione è uno dei rarissimi luoghi dell'Appennino settentrionale dove ancora è possibile vedere tracce di quella "era glaciale", sia nella flora che sulle rocce affioranti, nonché nella conformazione del paesaggio.

Partendo dall'Orto Botanico Forestale dell'Abetone (aperto durante la stagione estiva), si arriva alla fine della strada provinciale 20 e ci si inoltra lungo il sentiero CAI 104.
Il primo tratto è interessante dal punto di vista naturalistico in quanto è subito visibile la presenza di Abete rosso, una piante tipicamente alpina ma che qui è rimasta grazie a un microclima favorevole (studi dell'Università di Firenze hanno evidenziato la sua presenza nella valle già 18000 anni fa, in pieno periodo glaciale). In aree molte localizzate, caratterizzate dalla presenza di acqua tutto l'anno e riparate dal sole (si parla di fazzoletti di pochi metri quadrati) invece è possibile osservare ancora una flora tipicamente alpina, praticamente sconosciuta a queste latitudini, come la Pinguicula Vulgaris e alcuni tipi di genzianacee.


Salendo, il bosco di faggio lascia gradualmente lo spazio al mirtillo, tipico di ambiente di brughiera. Si arriva quindi alla quota limite della vegetazione aperta, poco sopra i 1700 metri sul livello del mare. Si raggiunge quindi il Lago Nero, chiamato così dal colore scuro del suo fondale, caratterizzato da argille ricche di minerali ferrosi. 


Già alla prima occhiata ci accorgiamo di trovarci davanti a una specie di anfiteatro; i rilievi costituiti esclusivamente di arenaria Macigno, tipica di questa parte di Appennino, assumono una conformazione che tende a racchiudere il lago e l'area circostante in un abbraccio. Quello che vediamo è comunemente chiamato "circo glaciale", è la zona accumulo principale dell'antico ghiacciaio che fino a circa 10 000 anni fa occupava la zona. Il lago Nero infatti non è altro che la zona di massimo effetto erosivo del ghiacciaio che molto lentamente avanzava verso il fondo valle sotto forma di lingue di ghiaccio. Nella zona se ne contano almeno tre. 


La "prova regina", ovvero la testimonianza principale dell'esistenza di un antico ghiacciaio, la si ha scendendo lungo la sponda del lago che dà verso il rifugio del Cai: una roccia levigata su cui compaiono numerose lineazioni orizzontali e parallele. Questo è il segno dei sedimenti trascinati dal ghiacciaio verso valle, che hanno inciso profondamente la roccia sottostante e che millenni di piogge ed erosione non sono ancora riusciti a cancellare.


Infine, vi suggerisco di continuare il sentiero che passa sopra il lago fino al Passo Fariola, fra la Valle del Sestaione e la Val di Luce. A parte l'orrore degli impianti sciistici, avrete la possibilità di vedere, se la giornata lo consente, le Alpi all'orizzonte. Quasi trenta milioni di anni fa, da laggiù arrivavano attraverso frane sottomarine i sedimenti che, diventati roccia, adesso formano parte dell'Appennino Settentrionale, in primis proprio le rocce che vediamo oggi in questo GeoTrip, le arenarie dette del Macigno.

Se avete ancora un poco di tempo, vi consiglio di continuare per arrivare al Lago Piatto per godere del panorama.



In aggiunta, un video improvvisato che non ha alcuna pretesa se non quella di far vedere le bellezze della zona.

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