Dopo aver raccontato come stiano le cose nel sottosuolo di Pistoia, è necessario portare a conoscenza tutti di un precedente storico che
riguarda proprio il precario equilibrio fra la città e le acque che la
attraversano.
Agli inizi del 1964 il centro storico di Pistoia fu
interessato da fenomeni di fessurazione che si svilupparono nel tempo, prima
interessando solo alcuni edifici per poi allargarsi a buona parte del nucleo
storico della città e infine cessare istantaneamente all'inizio del 1967. Nel 1980
fu cercata una spiegazione a tale fenomeno e fu prodotto un documento fra gli
Atti del XIV Convegno Nazionale di Geotecnica e firmato da R.Fancelli (CNR
Pisa), P.Focardi e G.Vannucchi (Università di Firenze), F.Gozzi (Comune di
Pistoia).
La zona di S.Andrea, dove si verificarono le prime lesioni del 1964. Fonte: "718PistoiaSAndrea" di Geobia - Opera propria. Con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 tramite Wikimedia Commons |
Inizialmente i danni furono circoscritti alla zona di
S.Andrea con il Palazzo Fabroni che cominciò a presentare crepe diffuse sui muri
con cadute di intonaco dalle parti alte dell’edificio; essendo all’epoca sede
di una Scuola Media, gli alunni e gli insegnanti furono trasferiti per
sicurezza. In seguito anche le adiacenti case Romagnoli iniziarono a mostrare
cedimenti: il pavimento del salone del primo piano si sollevò e si ruppe lungo
la diagonale; inoltre apparvero sui muri lesioni considerevoli. Gli stessi
fenomeni iniziarono a verificarsi anche in altri edifici della Via S.Andrea,
compresa l’omonima Chiesa e la casa del parroco. Nell’evoluzione del dissesto
anche Via Abbi Pazienza fu interessata dagli stessi fenomeni presso il Monte dei
Pegni, casa Lomi-Lazzerini fino alla casa parrocchiale di S.Filippo; dopodiché
sia la Chiesa dello Spirito Santo che di S.Francesco iniziarono a presentare
gli stessi danni degli altri edifici. In questo percorso di estensione del
fenomeno non fu risparmiata nemmeno La Sala dove crollarono le pareti interne
dei tetti del vecchio mercato, costruiti in cemento armato solo dieci anni
prima; anche le case di Piazzetta Romana e i marciapiedi di Via Buozzi
presentarono crepe; persino la Chiesa della Madonna dell’Umiltà subì qualche
danno seppur in misura minore. Alla fine del 1964 i danni vennero registrati su
una superficie di 25000 metri quadri; un anno dopo invece avvennero su una
superficie grande almeno il doppio e i pistoiesi erano preoccupati per questo fenomeno
che non riusciva a trovare una spiegazione; durante questo periodo di “psicosi
da dissesto” molti proprietari, timorosi di veder calare il valore dei propri
immobili, non segnalarono mai eventuali danni se non in casi di lesioni gravi
alle strutture. Una relazione dell’Ufficio Tecnico indicò come
il 10-15% degli edifici che si trovano nell’area dal dissesto siano
stati interessati da lesioni gravi; indicò anche che la spinta principale sia orizzontale
con asse ovest-est in base all’esame dei danni riportati dagli edifici
(pavimenti rialzati che avevano come base volte a botte al livello sottostante,
che reggono bene le spinte verticali ma poco quelle orizzontali, appunto).
Le aree colpite dal dissesto. In giallo l'area interessata dai danni nel 1964 e in celeste quella interessata nel 1965. |
Nell’analisi generale però è stato constatato che le case
danneggiate erano assai vecchie, costruite in mattoni o pietrame, avevano
fondazioni dirette e appoggianti direttamente su un terreno di riporto o su un
conglomerato a matrice argillosa detto “pancone”, quindi poco profonde; molte
di queste abitazioni erano state ampliate e rialzate successivamente oppure
avevano cantine scavate senza fondazione. Da segnalare che in molti casi si
verificarono allagamenti di cantine che erano state sempre asciutte e
scantinati dove l’umidità e la muffa avevano raggiunto livelli mai visti almeno a
memoria degli abitanti; questo avvenne non solo nelle aree interessate dal
dissesto ma anche nelle aree più esterne al centro storico.
La “grande accusata” quindi di questo fenomeno fu la falda
freatica. Furono fatte misurazioni e fu individuata ad una profondità variabile
fra uno e tre metri, molto alta quindi e questo spiega il perché dei dissesti.
Più difficile invece individuare la causa che ha portato all’aumento
del suo livello. Infatti all’inizio del 1967 questi si
abbassò progressivamente e cessarono improvvisamente anche i casi di lesioni
alle abitazioni del centro storico. Sapendo bene che l’autunno-inverno del 1966
fu caratterizzato da piogge molto intense (vedi l’alluvione di Firenze il 4 novembre) mentre negli anni precedenti non vi furono piogge di particolare
intensità, la causa dei dissesti doveva essere svincolata dalla quantità di
precipitazioni sul territorio; il regime idrogeologico della falda doveva
essere stato modificato quindi dall’improvviso crollo di due briglie sul
torrente Ombrone il 6 dicembre ’66 in località Ponte alle Tavole (in quell’occasione
crollò anche l’omonimo ponte). Bisogna tener conto che la falda freatica sul territorio pistoiese si
muove in direzione NW-SE e attraversa il torrente Ombrone prima di raggiungere
la città: in caso di piogge e comunque nella stagione ibnvernale, l’acqua che scorre lungo il torrente può
ricaricare la falda e il crollo delle briglie (alte circa 3 metri) ha diminuito
la quantità di acqua trattenuta lungo il fiume e che poteva infiltrarsi nel sottosuolo.
Le briglie però furono costruite fra la fine del XIX e l’inizio
del XX secolo e quindi non potevano essere la causa di innesco del fenomeno (sebbene
abbiano confermato che Ponte alle Tavole è il punto chiave per causare o
prevenire dissesti pericolosi alla città di Pistoia), quindi fu individuata una
modifica del regime idrogeologico ante ’64 nei lavori di dragaggio nella stessa
area del fiume per ricavare materiale per l’ampliamento dell’autostrada A11,
avvenuti negli anni ’62-’63 e compatibili con il successivo insorgere del
dissesto.
Ponte alle Tavole. Luogo dove nel '66 crollò la briglia e poco dopo l'omonimo ponte. |
In quell’occasione furono scavati circa 4-5 metri di
materiale che probabilmente non consistevano solo in ghiaia e sabbia ma anche in
limo che fungeva da impermeabilizzante naturale, aumentando le infiltrazioni
nel terreno e provocando i danni che ormai ben conosciamo.
Considerando che le briglie non furono mai ricostruite e che
lo spessore asportato non si è ancora ripristinato naturalmente, l’equilibrio
idrogeologico della falda che interessa la città di Pistoia è molto precario e
qualsiasi intervento sull’Ombrone può essere motivo di danni molto seri alla
città. Se due briglie di 3 metri sono bastate per cagionare danni considerevoli
a diverse abitazioni storiche, immaginiamo cosa potrebbe provocare una briglia
alta quasi dieci metri proprio nella stessa zona (la pressione dell’acqua
aumenta con l’altezza) nel momento in cui fosse davvero costruita la cassa di espansione ai Laghi Primavera; non solo quindi un rischio di crollo degli
argini settecenteschi e pericolo inondazione della zona Ovest della città ma
anche possibili allagamenti di seminterrati, problemi legati alla maggiore
umidità degli edifici anche di recente costruzione e nuove lesioni agli edifici
storici.
Inoltre, inteso come sia fragile e delicato il sistema delle
acque sotterranee, dobbiamo chiederci se la costruzione del parcheggio di S.Bartolomeo in Pantano possa creare un ostacolo alla circolazione dell’acqua
di falda e modificarne il percorso in maniera tale da compromettere la
stabilità degli edifici storici che si trovano in tutta la zona Est entro il terzo
cerchio di mura; questo considerando che già in fase di realizzazione potremmo
avere variazioni locali del livello proprio per l’apertura dello scavo
e possibili lesioni anche gravi ad abitazioni molto vecchie, nonché alla vicina
Chiesa.
La Chiesa di S.Bartolomeo in Pantano nei pressi del quale potrebbe sorgere un parcheggio interrato. Fonte: "PistoiaSBartolomeo01" di MM - Opera propria. Con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 tramite Wikimedia Commons |