martedì 22 aprile 2014

La Specola, un museo da visitare per le vacanze di questa primavera 2014

Vista la congiunzione particolare fra il calendario di questo 2014 e le festività ricorrenti in Italia, in questi ultimi giorni di aprile fino ai primi di maggio non poche saranno le occasioni per passeggiate, scampagnate, piccole gite fuori porta.

A chi dovesse passare qualche ora a spasso per Firenze, consiglio di andare a vedere almeno uno dei vari musei di Storia Naturale che l'Università gestisce nei vari luoghi della città ma uno in particolare mi sento in dovere di segnalare: la Sezione di Zoologia "La Specola" che, fino al 31 gennaio 2016 ospiterà la ormai nota Mostra dei Cristalli inaugurata nel 2009 e prorogata più volte in questi anni per la buona risposta che ha ottenuto da parte del pubblico.



Si tratta della collezione del prof. Adalberto Giazotto, una raccolta di esemplari provenienti dalle miniere di tutto il mondo: dal Sud Africa al Brasile, dall'Afghanistan alla Cina, dalle Alpi al Mediterraneo a cui vanno aggiunti ampliamenti nel corsi degli ultimi anni proprio per rinnovare la collezione esposta in questa mostra.







Non solo minerali, comunque: La Specola è stato fondato dal Granduca Pietro Leopoldo di Lorena, fu aperto al pubblico nel 1775 ed è il più antico museo scientifico d'Europa. Contiene la più grande collezione al mondo di cere anatomiche, eseguite tra il 1770 ed il 1850, ed oltre 3.500.000 di animali di cui circa 5.000 esposti al pubblico. Qui un link per vedere un video sulla storia del museo.

E'possibile visitare anche le collezioni di invertebrati e vertebrati, mostre fotografiche e altro; La Specola si inserisce nel complesso del Museo di Storia Naturale di Firenze che include inoltre il Museo di Mineralogia e Litologia, Geologia e Paleontologia, Antropologia ed Etnologia nonché il famoso Orto Botanico, uno dei più antichi al mondo, riaperto il 1 aprile scorso.

Una ultima raccomandazione, informarsi sugli orari perché i vari musei hanno giorni di chiusura differenti e inoltre sono chiusi il 25 aprile e il 1 maggio.



venerdì 18 aprile 2014

Verde di Prato, il mantello terrestre come ornamento

E' una pietra caratteristica della Toscana, utilizzata principalmente come ornamento nell'area geografica fra Firenze e Lucca, molto costosa e quindi segno della ricchezza di chi la utilizzava per abbellire le proprie costruzioni. Ha avuto il suo momento di splendore durante il medioevo toscano quando, assieme al calcare alberese ha caratterizzato tutto il periodo detto romanico toscano fra l' XI e il XIII secolo, venendo cavata da un luogo vicino al piccolo borgo di Figline, sull'Appennino settentrionale.

un tipico esempio di utilizzo del Verde di Prato assieme al calcare Alberese per lo stile romanico toscano.
Particolare della Chiesa di San Giovanni Fuorcivitas a Pistoia.
Fonte: Wikimedia.org

Tradizionalmente il Verde di Prato viene considerato un marmo ma in realtà è fatto di serpentinite, una roccia che proviene della parte più superficiale del mantello terrestre ed il suo nome è stato coniato per la somiglianza cromatica alla pelle di un serpente intorno alla metà del '500.

Esempio di serpentinite. Fonte: Wikimedia.org


Come nasce

Come già descritto nel post sulla nascita del bacino di Pistoia, Prato e Firenze, gli Appennini sono una catena montuosa formata da numerosi accavallamenti, generata dallo scontro tettonico fra Africa ed Europa iniziato circa 80 milioni di anni fa. In quel momento inizia a chiudersi quello che è chiamato Oceano ligure-piemontese e le rocce formatesi in fondo a questo oceano vengono stritolate, accavallate le une sulle altre e trasportate verso est dalla tettonica fino a sovrascorrere le rocce della cosiddetta falda toscana. Per questo motivo possiamo trovare rocce provenienti dal mantello terrestre in bella vista sulle nostre montagne; le rocce dei fondali oceanici assieme a quelle del mantello che vengono trasportate alla superficie dalla tettonica sono conosciute come ofioliti.

Schema della chiusura dell'Oceano ligure piemontese (in grigio scuro)


Dobbiamo immaginarci il fondo di questo oceano come un'apertura formatasi con la spaccatura della Pangea: la crosta terrestre si è assottigliata a tal punto che alla fine è avvenuto strappo fra i due supercontinenti Gondwana e Laurasia, lasciando che dal mantello terrestre fuoriuscissero lave basaltiche caratteristiche, chiamate "a cuscino". 




Queste lave si formano nella parte più superficiale del mantello, costituito principalmente da peridotite (una roccia fatta da due minerali principali, olivina e pirosseno) che sta sotto la crosta terrestre: quando questa si assottiglia, la pressione esercitata (chiamata litostatica) diminuisce e si arriva alla fusione parziale del mantello sottostante; la lava per uscire frattura la roccia e, visto che siamo in fondo all'oceano, permette all'acqua di entrare in profondità e a reagire chimicamente con la peridotite del mantello attraverso quella che viene chiamata alterazione idrotermale, ovvero uno scambio di elementi fra le varie componenti (in questo caso le rocce del mantello e l'acqua di mare) in un ambiente di alta temperatura e bassa pressione. La peridotite che subisce questo processo si trasforma in serpentinite ed è caratterizzata dalla presenza di serpentino, un termine che indica i minerali silicatici che si formano in queste condizioni.

Quindi queste rocce sono altamente fratturate e dentro possiamo trovare i prodotti dell'alterazione idrotermale, ovvero calcite, pirite, concentrazioni anomale di metalli pesanti e anche asbesti.

Il serpentino e il rischio per la salute

L'alterazione idrotermale fa sì che fra le varie tipologie di serpentino che si formano, ce ne sia uno che è altamente cancerogeno e pericoloso ovvero il crisotilo, un tipo di amianto (famiglia di minerali silicatici di calcio e magnesio, caratterizzati da fibre estremamente sottili da poter raggiungere facilmente gli alveoli polmonari) estremamente pericoloso se inalato. Fino a che la roccia se ne sta buona come pietra ornamentale non è pericoloso, quando invece viene manipolata in modo improprio generando polvere (penso alle zone di cava di queste pietre a scopo industriale), allora le fibre di crisotilo possono disperdersi nell'ambiente molto facilmente.


Fonte: Università di Torino


Come metalli pesanti, le serpentiniti hanno tenori di cromo e nichel alti perché molto sono affini ai minerali costituenti il mantello (le peridotiti) e la loro esposizione sia naturale che in ambiente di cava può causare la loro messa in circolo che generalmente finisce nei minerali argillosi dei suoli. Non è quindi così illogico aspettarsi valori di metalli pesanti di un certo rilievo nei suoli a valle di affioramenti di serpentiniti, magari se vi sono presenti cave.

Tuttavia questa è una materia ancora controversa e dibattuta, ancora non vi sono prove certe che la lavorazione di questa pietra sia un rischio per la salute umana, essendo l'inquinamento ambientale un campo di indagine relativamente nuovo nel settore delle Scienze della Terra e trattato in maniera consistente a livello normativo solo dagli anni '70.




giovedì 17 aprile 2014

Sunstones, le pietre del sole

Sunstone grezza
Fonte: wikimedia.org
Nell'infinito mondo dei minerali naturali, esistono degli esemplari che sono veramente particolari per le loro caratteristiche. Uno di questi casi è rappresentato dalla "Pietra del Sole", conosciuta con il suo nome inglese "Sunstone". Tecnicamente è un semplice feldspato ma sono le sue caratteristiche ottiche che lo rendono unico.



L'effetto "avventurescenza" 

E' una pietra traslucida al cui interno si formano dei minerali sottili e di forma lamellare che possono essere composti di rame o ferro. Questi, se hanno il tempo e lo spazio per formarsi correttamente e riescono ad orientarsi tutti secondo una direzione preferenziale, producono un effetto specchio con riflessi che variano fra il verde, blu, giallo, arancio e rosso, se la luce li colpisce sul lato piatto e con l'angolazione giusta. Questo effetto ottico, molto suggestivo e caratteristico prende il nome di "avventurescenza", derivato da una quarzite in cui è stato osservato questo fenomeno, chiamato "avventurina": questo nome deriva dall'italiano "a ventura", sembra come sinonimo di "a fortuna", come l'occasione in cui fu ottenuto questo effetto nella produzione del vetro a Murano nel XVIII secolo.
Sunstone proveniente dall'India.
Notate i piccoli frammenti lamellari che riflettono la luce come uno specchio.
Il colore è dato dalla presenza di  rame. Fonte: Wikimedia.org

Distribuzione geografica

Le "pietre del sole" si trovano nei grandi scudi continentali africani, nordamericani e asiatici (ad esempio Congo, Tanzania, Canada, Stati Uniti, Russia, Cina) ma anche in Australia e in Europa, ad esempio in Norvegia, principalmente in vene di quarzite che rappresentano l'ultimo fluido caldo di una intrusione magmatica all'interno di gneiss, rocce metamorfiche che si formano solo nelle profondità della crosta terrestre, a livelli altissimi di pressione e temperatura. 
Nello stato dello Utah, negli Stati Uniti, sono state trovate anche nelle lave basaltiche pleistoceniche (il Pleistocene va da 2,6 milioni a 11 mila anni fa circa).

Le sunstones come pietre preziose

Questa pietra da il meglio di sé quando viene sapientemente tagliata per esaltare la sua avventurescenza ed essere venduta come gioiello: il taglio preferito è detto a cabochon, ovvero senza sfaccettature e facendo apparire la pietra come un piccolo duomo che emana un lampo di luce quando gli occhi di chi osserva la pietra hanno la stessa angolazione della luce che la colpisce; esiste tuttavia una varietà chiamata "Oregon Sunstone" a cui è preferito un taglio sfaccettato.

Sunstone dell'Oregon con taglio sfaccettato.
Fonte: wikimedia.org
Sunstone con taglio a cabochon.
Fonte: Crystalarium



venerdì 11 aprile 2014

Ambra, un poema di Lorenzo de'Medici che omaggia il fiume Ombrone

Presso Poggio a Caiano si trova una delle più belle ville medicee di tutta la Toscana, fatta costruire da Lorenzo De'Medici ed eletta a residenza estiva anche dai suoi successori. Sia la villa che i suoi giardini sono un motivo di attrazione che da sola vale la visita a questo paese, posto su un rilievo che domina la pianura fra Firenze e Pistoia sin dai tempi della dominazione romana.

Villa Ambra a Poggio a Caiano, edificata fra il 1445 e il 1520 dalla famiglia Medici.
Fonte: Wikimedia.org


Il poema

Qui Lorenzo de'Medici diede nome alla sua proprietà, Villa Ambra, dedicandole un poema dove Ambra è una ninfa inseguita dal dio Ombrone che di lei si è innamorato; un amore non corrisposto in favore del Lauro, amante di Ambra. E lei, scesa nelle acque di Ombrone per rigenerarsi, viene inseguita dal dio che la brama fino alla congiunzione con Arno il quale, sentendo le suppliche di Ombrone di fermarla, ingrossa le sue acque fino ad allagare tutte le campagne e negare ogni via di uscita alla ninfa che, ormai perduta ogni speranza, invoca Diana per sfuggire alla cieca passione egoistica di Ombrone. Diana, per salvare la sua eletta, la trasforma in roccia e Ombrone capisce il danno provocato dal suo amore egoistico e non ricambiato quando ormai è troppo tardi.
Il poema è diviso in due parti che alcuni definiscono due poemi diversi e uniti assieme: la prima descrive il paesaggio autunnale che poteva essere ammirato cinquecento anni fa nelle nostre zone, la seconda la storia di Ombrone ed Ambra.

L'Ombrone presso Comeana, nei pressi di Poggio a Caiano.
Fonte: Panoriamo - Foto di Dragonfair

Geomorfologia del paesaggio

Leggendo attentamente il poema, potrete trovarvi davanti a una fotografia di come si presentasse il paesaggio nel Rinascimento: il fiume Ombrone che scorre veloce dagli Appennini e appena raggiunta la pianura si calma e scorre quieto fino alla confluenza con l'Arno, dove spesso le campagne vengono allagate dalle esondazioni frequenti. Una descrizione che rientra tranquillamente in quella branca della geologia che viene chiamata geomorfologia da cui si possono capire indicazioni sul clima, la morfologia dei fiumi e le specie arboree presenti allora per poter fare un confronto con il presente, cercando di capire quanto l'impatto dell'uomo abbia influito sull'ambiente.

Qui di seguito riporto il poema per intero, omaggiando non a caso il dio Ombrone che di Pistoia è uno dei due corsi d'acqua principali, sacro soprattutto ad una comunità della città ben precisa ovvero quella di Porta al Borgo, famosa per l'abbondanza di gore (non a caso l'Ombroncello è un fosso di derivazione delle acque dell'Ombrone che vediamo presso Gello, nelle campagne a nordovest della città, proprio per far arrivare l'acqua al centro abitato), lungo le quali si svilupparono molte attività lavorative nel corso dei secoli.

Ancora adesso il dio Ombrone è visibile ogni 25 luglio, durante il corteggio storico che precede la Giostra dell'Orso nel giorno del patrono San Jacopo in uno degli stendardi della comunità di Porta al Borgo, rappresentata dal Rione del Grifone.

Ombrone, in rappresentanza della Comunità di Porta al Borgo
 nello stendardo del Rione del Grifone
in occasione della Giostra dell'Orso a Pistoia
Fonte: Rione del Grifone

Ambra

1

Fuggita è la stagione che havea conversi
e fiori in pomi già maturi et còlti;
in ramo non può più foglia tenersi,
ma sparte per li boschi assai men folti
si fan sentire, se adviene che gli atraversi
el cacciatore, et i pochi paion molti;
la fera, se ben l'orme vaghe absconde,
non va segreta per le secche fronde.

2

Tra li àlbori secchi stassi il laur lieto,
et di Cyprigna l'odorato arbusto;
verdeggia nelle bianche alpe l'abeto,
et piega e rami già di neve honusto;
tiene il cipresso qualche uccel secreto,
et co' venti combatte il pin robusto;
l'humil ginepro con le acute foglie
la man non porge altrui, chi ben lo coglie;

3

la uliva in qualche dolce piaggia aprica
secondo il vento par hor verde hor bianca:
Natura in questi tali serba et nutrica
quel verde che nell'altre fronde manca.
Già e peregrini uccei con gran fatica
hanno condocto la famiglia stanca
di là dal mare, et pel camin lor mostri
Nereide, Tritoni et altri mostri.

4

Ha combattuto dello imperio et vincto
la Nocte, et prigion mena el breve giorno:
nel cielo sereno d'ecterne fiamme cincto
lieta el carro stellato mena intorno
né prima surge, che in Occeano tinto
si vede l'altro aurato carro adorno;
Orion freddo col coltello minaccia
Phebo, se mostra a·nnoi la bella faccia.

5

Seguon questo nocturno carro ardente
Vigilie, Excubie et sollecite Cure,
el Somno (et bench'e' sia molto potente,
queste importune il vincon talhor pure),
e ' dolci Sogni, che ingannon la mente,
quando è oppressa da fortune dure:
di sanità, d'assai thesoro fa festa
alcun che infermo et povero si desta.

6

Oh miser quello che in nocte così lunga
non dorme, et il disiato giorno aspecta,
se advien che molto et dolce disio il punga,
quale il futuro giorno li promecta!
Et, benché ambo le ciglia insieme adgiunga,
e ' pensieri tristi excluda e ' dolci ametta,
dormendo o desto, acciò che il tempo inganni,
gli pare la nocte un secol di cento anni.

7

Oh miser chi tra l'onde truova fuora
sì lunga nocte, assai lontano dal lito,
e 'l cammin rompe della cieca prora
el vento, et freme il mare un fero mugito!
Con molti prieghi et voti Aurora
chiamata, sta col suo vecchio marito.
Numera tristo et disioso guarda
e passi lenti della Nocte tarda.

8

Quanto è diversa, anzi contraria sorte
de' lieti amanti nella algente bruma,
a cui le nocte sono chiare et corte,
il giorno obscuro et tardo si consuma!
Nella stagione così gelida et forte,
già rivestiti di novella piuma,
hanno deposto gli ugelletti alquanto
non so s'io dica o e lieti versi o 'l pianto.

9

Stridendo in cielo e gru vegonsi a·llunge
l'aer stampare di varie et belle forme;
et l'ultima col collo steso agiunge
ove è quella dinanzi, alle vane orme;
et, poi che nelli aprichi lochi giunge,
vigile un guarda, et l'altra schiera dorme:
cuoprono e prati et van leggieri pe' laghi
mille spetie d'uccei dipinti et vaghi.

10

L'aquila spesso col volato lento
minaccia tutti, et sopra il stagno vola:
levonsi insieme et caccionla col vento
delle penne stridente; et, se pur sola
una fuor resta del pennuto armento,
l'uccel di Giove subito la invola:
resta ingannata, misera, se crede
andarne a Giove come Ganimede.

11

Zephiro s'è fuggito in Cipri, et balla
con Flora, otiosi per la herbetta lieta;
l'aria non più serena, bella et gialla
Borrea et Aquilone rompe e inquieta;
l'acqua corrente et querula incristalla
el ghiaccio, et stracca hor si riposa cheta:
preso il pesce nell'onda dura et chiara
resta come in ambra aurea zanzara.

12

Quel monte che se oppone a Cauro fero,
che non molesti il gentil fior, cresciuto
nel suo grembo d'honor, ricchezze et impero,
cigne di nebbie el capo già canuto;
gli omeri candenti, giù dal capo altero,
cuoprono e bianchi crini, e 'l pecto irsuto
la horribil barba, che è pel ghiaccio rigida;
fan gli occhi e 'l naso un fonte, e 'l gel lo infrigida.

13

La nebulosa ghirlanda che cigne
l'alte tempie gli mette Noto in testa;
Borrea da l'alpe poi la caccia et spigne,
et nudo et bianco el vecchio capo resta;
Noto sopra l'ale humide et maligne
la nebbia porta, et par di nuovo il vesta:
così Morello irato, hor carco hor lieve,
minaccia al piano subiecto hor acqua hor neve.

14

Partesi de Ethyopia caldo et tinto
Austro, et satia l'assetate spugne
nell'onde salse di Tirreno intinto;
appena a' destinati luoghi giugne,
gravido d'acqua et da' nugoli cinto
et stanco, stringe poi ambo le pugne:
e fiumi lieti contro all'acque amiche
escono allhor delle caverne antiche.

15

Rendon gratie ad Occean padre, adorni
d'ulva et di fronde fluviali le tempie;
suonan per festa e rochi et torti corni;
tumido il ventre, già superbo, s'empie;
lo sdegno, conceputo molti giorni
contro alle ripe timide, s'adempie:
spumoso ha rotto già lo inimico argine,
né serva il corso dello antico margine.

16

Non per vie lunghe o per cammino oblico
a guisa di serpenti, a gran volumi,
sollecitan la via al padre antico:
congiungon l'onde insieme e lontan' fiumi
et dice l'uno all'altro, come amico,
nuove del suo paese et de' costumi:
così insieme, in una strana voce,
cercon, né truovon, la smarrita foce.

17

Quando gonfiato et largo si ristrigne
tra li alti monti d'una chiusa valle,
stridon frenate, turbide et maligne
l'onde, et miste con terra paion gialle;
et grave petre sopra petre pigne,
irato a' sassi dello angusto calle;
l'onde spumose gira, horribil freme:
vede il pastor da alto, et, secur, teme.

18

Tal fremito piangendo rende trista
la terra dentro al cavo ventre adusta:
caccia col fumo fuor fiamma âcqua mista
gridando, ch'esce per la bocca angusta,
terribile alli orecchi et alla vista:
teme, vicina, il suon alta et robusta
Volterra, et e lagon' torbidi che spumano,
et piove aspecta se più alto fumano.

19

Così cruciato il fer torrente frende
superbo, et le contrarie ripe rode;
ma, poi che nel piano largo si distende,
quasi contento alhora appena se ode:
incerto se in su torna o se pur scende,
ha de' monti distanti facto prode:
già vincitore al cheto lago incede,
di rami et tronchi pien, montane prede.

20

A pena è suta a tempo la villana
pavida âprire alle bestie la stalla;
porta il figlio, che piange, nella zana;
segue la figlia grande, et ha la spalla
grave di panni vili, lini et lana;
va l'altra vecchia masseritia a galla
nuotono e porci et, spaventati, e buoi,
le pecorelle, et non si toson poi.

21

Alcun della famiglia s'è ridocto
in cima della casa, et su dal tecto
la povera ricchezza vede ir socto,
la fatica, la speme; et, per sospecto
di se stesso, non duolsi et non fa mocto:
teme alla vita el cuor nel tristo pecto,
né delle cose car' par conto faccia:
così la magior cura ogn'altra caccia.

22

La nota et verde ripa alhor non frena
e pesci lieti, che han più ampli spatii;
l'antica et giusta voglia alquanto è piena
di vedere nuovi liti; et, non ben satii,
questo nuovo piacere vaghi gli mena
a vedere le ruine et ' grandi stratii
delli edificii, et sopto l'acqua e muri
veggon lieti et anchor non ben sicuri.

23

In guisa alhora di piccola isoletta
Ombrone amante superbo Ambra cigne;
Ambra, non meno da Laur dilecta,
geloso se 'l rivale la tocca et strigne;
Ambra driàde, a Delia sua accepta
quanto alcuna che stral fuor d'arco pigne;
tanto bella et gentile che alfine li nuoce,
leggieri di piedi et più ch'altra veloce.

24

Fu da' primi anni questa nympha amata
dal suo Laur gentile, pastore alpino,
d'un casto amore, né era penetrata
lasciva fiamma al pecto peregrino.
Fuggendo il caldo un dì nuda era entrata
nell'onde fredde de Ombrone, d'Appennino
figlio, superbo in vista et ne' costumi
pel padre antico et ' cento frati fiumi.

25

Come le membra virginali entrorno
nella acqua bruna et gelida sentìo,
et, mosso da·leggiadro corpo adorno,
della spilonca uscì l'altero iddio;
dalla sinistra prese il torto corno,
et nudo el resto, acceso di disio,
difende il capo inculto a' phebei raggi
coronato d'abeti et montàn' faggi.

26

Et verso il loco ove la nympha stassi
giva pian piano, coperto dalle fronde;
né era visto, né sentire e passi
lasciava il mormorio delle chiare onde.
Così vicino tanto alla nympha fassi
che giugner crede le suo trecce bionde,
et quella bella nympha in braccio havere,
et, nudo, el nudo et bel corpo tenere.

27

Sì come pesce, alhora, che incauto cuopra
el pescator con rara et soptil maglia,
fugge la rete, qual sente di sopra,
lasciando, per fuggire, alcuna scaglia;
così la nympha, quando par si scuopra,
fugge lo dio, che addosso si li scaglia,
né fu sì presta, anzi fu sì presto elli,
che in man lasciolli alcun de' sua capelli.

28

Et, saltando dell'onde, strigne il passo;
di timor piena fugge nuda et scalza;
lascia e panni et li strali, l'arco e 'l turcasso;
non cura e pruni acuti o l'aspra balza;
resta lo dio dolente aflicto et lapso;
pel dolore le man' strigne, al cielo li occhi alza;
maladisce la mano crudele et tarda,
quando e biondi capelli svelti guarda.

29

Et seguendola, alhora, diceva: «O mano,
a vellere e be' crini presta et feroce,
ma a·ttener quel corpo più che humano
et farmi lieto, ohimè, poco veloce!».
Così piangendo il primo errore invano,
credendo almeno agiugner con la boce
dove arrivar non puote il passo tardo,
gridava: «O nympha, un fiume sono, et ardo!

30

Tu m'accendesti in mezzo alle fredde acque
el pecto d'uno ardente disir cieco:
perché, come nell'onda el corpo giacque,
non giace, ché staria meglio assai, con meco?
Se l'ombra et l'acqua mia chiara ti piacque,
più bella ombra, più bella acqua ha el mio speco.
Piaccionti le mia cose, et non piaccio io:
et son pur d'Appennino figliuolo, et dio».

31

La nympha fugge, et sorda a' prieghi fassi;
a' bianchi piè agiugne ale il timore.
Sollecita lo dio, correndo, e passi,
facti a seguir veloci dallo amore;
vede da' pruni et da' taglienti sassi
e bianchi piè ferire con gran dolore;
cresce el disio, pel quale et ghiaccia et suda,
vedendola fugire sì bella et nuda.

32

Timida et vergognosa Ambra pur corre;
nel corso a' venti rapidi non cede;
le leggier' piante sulle spighe porre
potria, et sosterrieno il gentil piede;
vedesi Ombrone ognor più campo tôrre,
la nympha ad ogni passo manco vede:
già nel piano largo tanto il corso avanza,
che di giugnerla perde ogni speranza.

33

Già pria per li alti monti aspri et repenti
venìa tra' sassi con rapido corso;
e passi a·llei manco expediti, et lenti,
faceano a·llui sperare qualche soccorso;
ma giunto, lapso, giù ne' pian' patenti,
fu messo quasi al fiume stanco un morso:
poi che non può col piè, per la campagna
col disio et cogli occhi l'acompagna.

34

Che debbe fare lo innamorato iddio,
poi che la bella nympha più non giugne?
Quanto gli è più negata, più disio
lo 'nnamorato core accende et pugne.
La nympha era già presso ove Arno mio
riceve Ombrone, et l'onde si congiugne:
Ombrone, Arno veggendo, si conforta,
et surge alquanto la speranza morta.

35

Grida da·llungi: «O Arno, a cui refugge
la magior parte di noi fiumi thoschi,
la bella nympha, che come uccel fugge,
da me seguìta in tanti monti et boschi,
sanza alcuna piatate el cor mi strugge,
né par che amor el duro cor conoschi:
rendimi lei, et la speranza persa,
et el legier corso suo rompi e 'ntraversa.

36

Io sono Ombrone che·lle mia cerule onde
per te raccoglio: a·tte tutte le serbo,
et facte tue diventon sì prophonde,
che sprezzi et ripe et ponti, alto et superbo;
questa è mia preda, et queste trecce bionde,
qual' in man porto con dolore acerbo,
ne fan chiar segno; in te mie speme è sola:
soccorri presto, ché la nympha vola!».

37

Arno vedendo Ombrone, da pietà mosso,
per che el tempo non basta a far risposta,
ritenne l'acqua, et già gonfiato et grosso
da·llungi al corso della bella Ambra osta.
Fu da nuovo timore freddo et percosso
el vergin pecto, quanto più s'acosta:
drieto Ombron sente, et innanzi vede un lago,
né sa che farsi, il cor gelato et vago.

38

Come fera cacciata et già difesa
da' can', fuggendo la bocca bramosa,
fuor del periglio già, la rete tesa
veggendo innanzi agli occhi, paurosa,
quasi già certa dovere essere presa,
né fugge innanzi o indrieto tornar osa,
teme e cani, alla rete non si fida,
non sa che farsi, et spaventata grida;

39

tal della bella nympha era la sorte:
da ogni parte da paura oppressa,
non sa che farsi, se non disiar morte;
vede l'un fiume et l'altro che s'apressa,
et disperata alhor gridava forte:
«O casta dea, a cui io fui concessa
dal caro padre et dalla madre antica,
unica aiuta all'ultima fatica!

40

Diana bella, questo pecto casto
non maculò giammai folle disio:
guardalo hor tu, perch'io, nympha, non basto
a dua nimici; et l'uno et l'altro è dio.
Col desio del morire m'è sol rimasto
al core el casto amore di Laur mio;
portate, o venti, questa voce extrema
a·lLaur mio, che la mia morte gema!».

41

Né eron quasi della bocca fore
queste parole, che i candidi piedi
furno occupati da novel rigore;
crescerli poi et farsi un saxo vedi,
mutar le membra e 'l bel corpo colore
ma pur, che donna fussi anchor tu credi:
le membra mostron come suol figura
bozzata et non finita in pietra dura.

42

Ombrone pel corso faticato et lapso,
per la speranza della cara preda
prende nuovo vigore et strigne il passo,
et par che quasi in braccio havere la creda:
crescer veggendo innanzi agli occhi il sasso,
ignaro anchora, non sa donde proceda;
ma poi, veggendo vana ogni suo voglia,
si ferma pieno di maraviglia et doglia.

43

Come in un parco cerva o altra fera,
ch'è di materia o picciol muro chiuso,
soprafacta da' cani campar non spera
vicina al muro, et per timor là suso
salta, et si lieva innanzi al can legiera,
resta el can dentro misero et deluso;
non potendo seguire dove è salita,
fermasi, et guarda el loco onde è fuggita;

44

così lo dio ferma la veloce orma,
guarda piatoso il bel saxo crescente,
el saxo, che anchor serba qualche forma
di bella donna, et qualche poco sente;
et come amore et la pietà lo 'nforma,
di pianto bagna il sasso amaramente,
dicendo: «O Ambra mia, queste son l'acque,
ove bagnar già el bel corpo ti piacque!

45

Io non haria creduto in dolor tanto
che la propia piatà, vinta da quella
della mia nympha, si fugissi alquanto:
per la maggior pietà d'Ambra mia bella,
questa, non già la mia, muove in me il pianto.
Et pur la vita trista et meschinella,
anchor che ecterna, quando meco penso,
è peggio in me, che in lei non haver senso.

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Lapso, ne' monti miei paterni excelsi
son tante nymphe, et sicura è ciascuna;
tra mille belle la più bella scelsi,
non so come; et amando sol questa una,
primo segno di amore e crini svelsi,
et caccia'la della acqua fresca et bruna;
tenera et nuda poi, fuggendo exangue
tinse le spine e ' sassi el sacro sangue.

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Et finalmente in un sasso conversa,
per colpa solo del mio crudele disio,
non so, non sendo mia, come l'ho persa,
né posso perder questo viver mio:
in questo è troppo la mia sorte adversa,
misero essendo et inmortale dio;
ché, s'io potessi pure almen morire,
potria il giusto inmortale dolor finire.

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Io ho imparato come si compiacci
a donna amata et il suo amor guadagni,
che a quella che più ami più dispiacci!
O Borea algente, che gelato stagni,
l'acque correnti fa s'induri et ghiacci,
che, petra facto, la nympha acompagni:
né sol già mai co' raggi chiari et gialli
risolva in acqua e rigidi cristalli».

domenica 6 aprile 2014

6 Aprile 2014, 5 anni dal terremoto de L'Aquila. Un'occasione per parlare di rischio sismico

Ripetita iuvant ci insegnano, però a volte vorremmo anche smettere di dover tornare su questo argomento che riapre ferite dolorose, nella speranza che prima o poi il rischio sismico venga considerato una realtà con la quale dovremo convivere, tenendo conto che l'Italia è un territorio particolarmente attivo perché ancora in movimento, schiacciato fra l'Africa e l'Europa. 

Schema geodinamico del Mediterraneo,
le frecce indicano le direzioni di spostamento dei continenti

Il 6 aprile 2009 alle ore 3:32, un terremoto di magnitudo locale di 5.9 (momento di 6.3) scosse la terra e il cuore di molte persone. 
Il bilancio del sisma fu di 309 morti e circa 1200 feriti, alcuni dei quali sono diventati, loro malgrado, simbolo della poca sensibilità della nostra società alle cose che non possiamo controllare e dominare, quasi non fossimo in grado di poter concepire il fatto di non poter avere tutto sotto controllo.

Purtroppo la tragedia della Casa dello Studente è rimasta negli anni il simbolo di tutto ciò: 8 ragazzi uccisi dalla negligenza e dalla superficialità nella costruzione dello stabile, dalla progettazione alla realizzazione, compresa la ristrutturazione che trasformò l'edificio da abitazione privata a struttura alberghiera.

Nel 2013 è stato istituito un premio di laurea per ricordare le vittime, grazie ai fondi raccolti attraverso un libro scritto dal giornalista Umberto Braccili, che raccoglie le testimonianze dei genitori, fratelli, sorelle, fidanzati delle vittime: "Macerie Dentro e Fuori", scaricabile gratis dal sito dell'autore.

Geologia del terremoto del 2009

La faglia di Paganica dove si è verificato
il terremoto del 6 aprile del 2009.

Dal punto di vista geologico, il terremoto è stato provocato da un rilascio di energia da parte di una faglia chiamata di Paganica, situata a pochi chilometri da L'Aquila con andamento NW-SE e si inquadra in un sistema molto più complesso che attraversa tutta l'area del Gran Sasso.

Purtroppo tutta l'area non è nuova a forti terremoti anche in epoca storica, il più intenso dei quali è stato riconosciuto come quello del 1703, ancor più potente di quello del 2009.

Epicentri del terremoto del 2009
a confronto con quello più potente del 1703.

Dopotutto il Gran Sasso è un grande blocco rigido che si sta spostando verso est, spinto dalla tettonica; la rigidità data dai calcari di cui principalmente fa parte tutto l'appennino centrale, fa sì che la crosta non si pieghi in modo duttile agli sforzi tettonici ma si fratturi, generando potenti terremoti come quello che abbiamo tristemente conosciuto. 


Schema tettonico dell'Appennino Centrale
Le linee con i triangoli neri indicano i fronti principali degli accavallamenti
L'Aquila si trova proprio in corrispondenza di questi fronti.

Ancora oggi le immagini di quella tragedia ci fanno pensare a come possiamo difenderci da eventi naturali come un terremoto e l'unica risposta che si può dare è la prevenzione.



Cosa fare in caso di terremoto

La Protezione Civile fornisce indicazioni per potersi difendere in caso di sisma:

Se ci troviamo in un luogo chiuso
  • Allontanarsi dal centro della stanza per evitare la caduta di intonaci o del solaio.
  • Allontanarsi dalle finestre per evitare di essere investiti dai vetri.
  • Cercare riparo sotto il vano di una porta che si trova lungo un muro portante.
  • Non prendere le scale interne che sono poco resistenti, se esistono utilizzare le scale antincendio esterne.
  • Non prendere l'ascensore, si può bloccare alle deformazioni dell'edificio.


Se ci troviamo in un luogo aperto

  • Allontanarsi dagli edifici, alberi, lampioni, tralicci, tutto ciò che può cadere.
  • Raggiungere spazi aperti, senza ostacoli e se ci sono, i punti di raccolta predisposti dai piani di emergenza.
  • Ogni Comune ha il proprio piano di Protezione Civile, informarsi per conoscere quali sono le aree di attesa per la popolazione.


La campagna "Io non rischio"

Ogni anno la Protezione Civile promuove una campagna di sensibilizzazione per la conoscenza e la prevenzione dai rischi naturali fra cui anche quello sismico; nei giorni del 14 e 15 giugno 2014 in 200 piazze italiane saranno presentate numerose iniziative, tutte elencate nel sito di iononrischio.it.

Con l'occasione voglio riproporre anche il web-documentario sul rischio idrogeologico "#DissestoItalia" per ricordare la necessità di un atteggiamento civile più attento agli eventi naturali che diventano sempre più frequenti, sperando che i legislatori finalmente diano un impulso diverso all'economia del paese, passando da un settore edile che non prende minimamente in considerazione tutte le problematiche riguardanti la geologia, i beni culturali e del paesaggio a favore di una economia di prevenzione, con la messa in sicurezza del territorio ed evitare che tragedie come quella de L'Aquila (e dell'Emilia, aggiungo) possano verificarsi ancora.