Presso Poggio a Caiano si trova una delle più belle ville medicee di tutta la Toscana, fatta costruire da Lorenzo De'Medici ed eletta a residenza estiva anche dai suoi successori. Sia la villa che i suoi giardini sono un motivo di attrazione che da sola vale la visita a questo paese, posto su un rilievo che domina la pianura fra Firenze e Pistoia sin dai tempi della dominazione romana.
|
Villa Ambra a Poggio a Caiano, edificata fra il 1445 e il 1520 dalla famiglia Medici.
Fonte: Wikimedia.org |
Il poema
Qui Lorenzo de'Medici diede nome alla sua proprietà, Villa Ambra, dedicandole un poema dove Ambra è una ninfa inseguita dal dio Ombrone che di lei si è innamorato; un amore non corrisposto in favore del Lauro, amante di Ambra. E lei, scesa nelle acque di Ombrone per rigenerarsi, viene inseguita dal dio che la brama fino alla congiunzione con Arno il quale, sentendo le suppliche di Ombrone di fermarla, ingrossa le sue acque fino ad allagare tutte le campagne e negare ogni via di uscita alla ninfa che, ormai perduta ogni speranza, invoca Diana per sfuggire alla cieca passione egoistica di Ombrone. Diana, per salvare la sua eletta, la trasforma in roccia e Ombrone capisce il danno provocato dal suo amore egoistico e non ricambiato quando ormai è troppo tardi.
Il poema è diviso in due parti che alcuni definiscono due poemi diversi e uniti assieme: la prima descrive il paesaggio autunnale che poteva essere ammirato cinquecento anni fa nelle nostre zone, la seconda la storia di Ombrone ed Ambra.
Geomorfologia del paesaggio
Leggendo attentamente il poema, potrete trovarvi davanti a una fotografia di come si presentasse il paesaggio nel Rinascimento: il fiume Ombrone che scorre veloce dagli Appennini e appena raggiunta la pianura si calma e scorre quieto fino alla confluenza con l'Arno, dove spesso le campagne vengono allagate dalle esondazioni frequenti. Una descrizione che rientra tranquillamente in quella branca della geologia che viene chiamata geomorfologia da cui si possono capire indicazioni sul clima, la morfologia dei fiumi e le specie arboree presenti allora per poter fare un confronto con il presente, cercando di capire quanto l'impatto dell'uomo abbia influito sull'ambiente.
Qui di seguito riporto il poema per intero, omaggiando non a caso il dio Ombrone che di Pistoia è uno dei due corsi d'acqua principali, sacro soprattutto ad una comunità della città ben precisa ovvero quella di Porta al Borgo, famosa per l'abbondanza di gore (non a caso l'Ombroncello è un fosso di derivazione delle acque dell'Ombrone che vediamo presso Gello, nelle campagne a nordovest della città, proprio per far arrivare l'acqua al centro abitato), lungo le quali si svilupparono molte attività lavorative nel corso dei secoli.
Ancora adesso il dio Ombrone è visibile ogni 25 luglio, durante il corteggio storico che precede la Giostra dell'Orso nel giorno del patrono San Jacopo in uno degli stendardi della comunità di Porta al Borgo, rappresentata dal Rione del Grifone.
|
Ombrone, in rappresentanza della Comunità di Porta al Borgo
nello stendardo del Rione del Grifone
in occasione della Giostra dell'Orso a Pistoia
Fonte: Rione del Grifone |
Ambra
1
Fuggita è la stagione che havea conversi
e fiori in pomi già maturi et còlti;
in ramo non può più foglia tenersi,
ma sparte per li boschi assai men folti
si fan sentire, se adviene che gli atraversi
el cacciatore, et i pochi paion molti;
la fera, se ben l'orme vaghe absconde,
non va segreta per le secche fronde.
2
Tra li àlbori secchi stassi il laur lieto,
et di Cyprigna l'odorato arbusto;
verdeggia nelle bianche alpe l'abeto,
et piega e rami già di neve honusto;
tiene il cipresso qualche uccel secreto,
et co' venti combatte il pin robusto;
l'humil ginepro con le acute foglie
la man non porge altrui, chi ben lo coglie;
3
la uliva in qualche dolce piaggia aprica
secondo il vento par hor verde hor bianca:
Natura in questi tali serba et nutrica
quel verde che nell'altre fronde manca.
Già e peregrini uccei con gran fatica
hanno condocto la famiglia stanca
di là dal mare, et pel camin lor mostri
Nereide, Tritoni et altri mostri.
4
Ha combattuto dello imperio et vincto
la Nocte, et prigion mena el breve giorno:
nel cielo sereno d'ecterne fiamme cincto
lieta el carro stellato mena intorno
né prima surge, che in Occeano tinto
si vede l'altro aurato carro adorno;
Orion freddo col coltello minaccia
Phebo, se mostra a·nnoi la bella faccia.
5
Seguon questo nocturno carro ardente
Vigilie, Excubie et sollecite Cure,
el Somno (et bench'e' sia molto potente,
queste importune il vincon talhor pure),
e ' dolci Sogni, che ingannon la mente,
quando è oppressa da fortune dure:
di sanità, d'assai thesoro fa festa
alcun che infermo et povero si desta.
6
Oh miser quello che in nocte così lunga
non dorme, et il disiato giorno aspecta,
se advien che molto et dolce disio il punga,
quale il futuro giorno li promecta!
Et, benché ambo le ciglia insieme adgiunga,
e ' pensieri tristi excluda e ' dolci ametta,
dormendo o desto, acciò che il tempo inganni,
gli pare la nocte un secol di cento anni.
7
Oh miser chi tra l'onde truova fuora
sì lunga nocte, assai lontano dal lito,
e 'l cammin rompe della cieca prora
el vento, et freme il mare un fero mugito!
Con molti prieghi et voti Aurora
chiamata, sta col suo vecchio marito.
Numera tristo et disioso guarda
e passi lenti della Nocte tarda.
8
Quanto è diversa, anzi contraria sorte
de' lieti amanti nella algente bruma,
a cui le nocte sono chiare et corte,
il giorno obscuro et tardo si consuma!
Nella stagione così gelida et forte,
già rivestiti di novella piuma,
hanno deposto gli ugelletti alquanto
non so s'io dica o e lieti versi o 'l pianto.
9
Stridendo in cielo e gru vegonsi a·llunge
l'aer stampare di varie et belle forme;
et l'ultima col collo steso agiunge
ove è quella dinanzi, alle vane orme;
et, poi che nelli aprichi lochi giunge,
vigile un guarda, et l'altra schiera dorme:
cuoprono e prati et van leggieri pe' laghi
mille spetie d'uccei dipinti et vaghi.
10
L'aquila spesso col volato lento
minaccia tutti, et sopra il stagno vola:
levonsi insieme et caccionla col vento
delle penne stridente; et, se pur sola
una fuor resta del pennuto armento,
l'uccel di Giove subito la invola:
resta ingannata, misera, se crede
andarne a Giove come Ganimede.
11
Zephiro s'è fuggito in Cipri, et balla
con Flora, otiosi per la herbetta lieta;
l'aria non più serena, bella et gialla
Borrea et Aquilone rompe e inquieta;
l'acqua corrente et querula incristalla
el ghiaccio, et stracca hor si riposa cheta:
preso il pesce nell'onda dura et chiara
resta come in ambra aurea zanzara.
12
Quel monte che se oppone a Cauro fero,
che non molesti il gentil fior, cresciuto
nel suo grembo d'honor, ricchezze et impero,
cigne di nebbie el capo già canuto;
gli omeri candenti, giù dal capo altero,
cuoprono e bianchi crini, e 'l pecto irsuto
la horribil barba, che è pel ghiaccio rigida;
fan gli occhi e 'l naso un fonte, e 'l gel lo infrigida.
13
La nebulosa ghirlanda che cigne
l'alte tempie gli mette Noto in testa;
Borrea da l'alpe poi la caccia et spigne,
et nudo et bianco el vecchio capo resta;
Noto sopra l'ale humide et maligne
la nebbia porta, et par di nuovo il vesta:
così Morello irato, hor carco hor lieve,
minaccia al piano subiecto hor acqua hor neve.
14
Partesi de Ethyopia caldo et tinto
Austro, et satia l'assetate spugne
nell'onde salse di Tirreno intinto;
appena a' destinati luoghi giugne,
gravido d'acqua et da' nugoli cinto
et stanco, stringe poi ambo le pugne:
e fiumi lieti contro all'acque amiche
escono allhor delle caverne antiche.
15
Rendon gratie ad Occean padre, adorni
d'ulva et di fronde fluviali le tempie;
suonan per festa e rochi et torti corni;
tumido il ventre, già superbo, s'empie;
lo sdegno, conceputo molti giorni
contro alle ripe timide, s'adempie:
spumoso ha rotto già lo inimico argine,
né serva il corso dello antico margine.
16
Non per vie lunghe o per cammino oblico
a guisa di serpenti, a gran volumi,
sollecitan la via al padre antico:
congiungon l'onde insieme e lontan' fiumi
et dice l'uno all'altro, come amico,
nuove del suo paese et de' costumi:
così insieme, in una strana voce,
cercon, né truovon, la smarrita foce.
17
Quando gonfiato et largo si ristrigne
tra li alti monti d'una chiusa valle,
stridon frenate, turbide et maligne
l'onde, et miste con terra paion gialle;
et grave petre sopra petre pigne,
irato a' sassi dello angusto calle;
l'onde spumose gira, horribil freme:
vede il pastor da alto, et, secur, teme.
18
Tal fremito piangendo rende trista
la terra dentro al cavo ventre adusta:
caccia col fumo fuor fiamma âcqua mista
gridando, ch'esce per la bocca angusta,
terribile alli orecchi et alla vista:
teme, vicina, il suon alta et robusta
Volterra, et e lagon' torbidi che spumano,
et piove aspecta se più alto fumano.
19
Così cruciato il fer torrente frende
superbo, et le contrarie ripe rode;
ma, poi che nel piano largo si distende,
quasi contento alhora appena se ode:
incerto se in su torna o se pur scende,
ha de' monti distanti facto prode:
già vincitore al cheto lago incede,
di rami et tronchi pien, montane prede.
20
A pena è suta a tempo la villana
pavida âprire alle bestie la stalla;
porta il figlio, che piange, nella zana;
segue la figlia grande, et ha la spalla
grave di panni vili, lini et lana;
va l'altra vecchia masseritia a galla
nuotono e porci et, spaventati, e buoi,
le pecorelle, et non si toson poi.
21
Alcun della famiglia s'è ridocto
in cima della casa, et su dal tecto
la povera ricchezza vede ir socto,
la fatica, la speme; et, per sospecto
di se stesso, non duolsi et non fa mocto:
teme alla vita el cuor nel tristo pecto,
né delle cose car' par conto faccia:
così la magior cura ogn'altra caccia.
22
La nota et verde ripa alhor non frena
e pesci lieti, che han più ampli spatii;
l'antica et giusta voglia alquanto è piena
di vedere nuovi liti; et, non ben satii,
questo nuovo piacere vaghi gli mena
a vedere le ruine et ' grandi stratii
delli edificii, et sopto l'acqua e muri
veggon lieti et anchor non ben sicuri.
23
In guisa alhora di piccola isoletta
Ombrone amante superbo Ambra cigne;
Ambra, non meno da Laur dilecta,
geloso se 'l rivale la tocca et strigne;
Ambra driàde, a Delia sua accepta
quanto alcuna che stral fuor d'arco pigne;
tanto bella et gentile che alfine li nuoce,
leggieri di piedi et più ch'altra veloce.
24
Fu da' primi anni questa nympha amata
dal suo Laur gentile, pastore alpino,
d'un casto amore, né era penetrata
lasciva fiamma al pecto peregrino.
Fuggendo il caldo un dì nuda era entrata
nell'onde fredde de Ombrone, d'Appennino
figlio, superbo in vista et ne' costumi
pel padre antico et ' cento frati fiumi.
25
Come le membra virginali entrorno
nella acqua bruna et gelida sentìo,
et, mosso da·leggiadro corpo adorno,
della spilonca uscì l'altero iddio;
dalla sinistra prese il torto corno,
et nudo el resto, acceso di disio,
difende il capo inculto a' phebei raggi
coronato d'abeti et montàn' faggi.
26
Et verso il loco ove la nympha stassi
giva pian piano, coperto dalle fronde;
né era visto, né sentire e passi
lasciava il mormorio delle chiare onde.
Così vicino tanto alla nympha fassi
che giugner crede le suo trecce bionde,
et quella bella nympha in braccio havere,
et, nudo, el nudo et bel corpo tenere.
27
Sì come pesce, alhora, che incauto cuopra
el pescator con rara et soptil maglia,
fugge la rete, qual sente di sopra,
lasciando, per fuggire, alcuna scaglia;
così la nympha, quando par si scuopra,
fugge lo dio, che addosso si li scaglia,
né fu sì presta, anzi fu sì presto elli,
che in man lasciolli alcun de' sua capelli.
28
Et, saltando dell'onde, strigne il passo;
di timor piena fugge nuda et scalza;
lascia e panni et li strali, l'arco e 'l turcasso;
non cura e pruni acuti o l'aspra balza;
resta lo dio dolente aflicto et lapso;
pel dolore le man' strigne, al cielo li occhi alza;
maladisce la mano crudele et tarda,
quando e biondi capelli svelti guarda.
29
Et seguendola, alhora, diceva: «O mano,
a vellere e be' crini presta et feroce,
ma a·ttener quel corpo più che humano
et farmi lieto, ohimè, poco veloce!».
Così piangendo il primo errore invano,
credendo almeno agiugner con la boce
dove arrivar non puote il passo tardo,
gridava: «O nympha, un fiume sono, et ardo!
30
Tu m'accendesti in mezzo alle fredde acque
el pecto d'uno ardente disir cieco:
perché, come nell'onda el corpo giacque,
non giace, ché staria meglio assai, con meco?
Se l'ombra et l'acqua mia chiara ti piacque,
più bella ombra, più bella acqua ha el mio speco.
Piaccionti le mia cose, et non piaccio io:
et son pur d'Appennino figliuolo, et dio».
31
La nympha fugge, et sorda a' prieghi fassi;
a' bianchi piè agiugne ale il timore.
Sollecita lo dio, correndo, e passi,
facti a seguir veloci dallo amore;
vede da' pruni et da' taglienti sassi
e bianchi piè ferire con gran dolore;
cresce el disio, pel quale et ghiaccia et suda,
vedendola fugire sì bella et nuda.
32
Timida et vergognosa Ambra pur corre;
nel corso a' venti rapidi non cede;
le leggier' piante sulle spighe porre
potria, et sosterrieno il gentil piede;
vedesi Ombrone ognor più campo tôrre,
la nympha ad ogni passo manco vede:
già nel piano largo tanto il corso avanza,
che di giugnerla perde ogni speranza.
33
Già pria per li alti monti aspri et repenti
venìa tra' sassi con rapido corso;
e passi a·llei manco expediti, et lenti,
faceano a·llui sperare qualche soccorso;
ma giunto, lapso, giù ne' pian' patenti,
fu messo quasi al fiume stanco un morso:
poi che non può col piè, per la campagna
col disio et cogli occhi l'acompagna.
34
Che debbe fare lo innamorato iddio,
poi che la bella nympha più non giugne?
Quanto gli è più negata, più disio
lo 'nnamorato core accende et pugne.
La nympha era già presso ove Arno mio
riceve Ombrone, et l'onde si congiugne:
Ombrone, Arno veggendo, si conforta,
et surge alquanto la speranza morta.
35
Grida da·llungi: «O Arno, a cui refugge
la magior parte di noi fiumi thoschi,
la bella nympha, che come uccel fugge,
da me seguìta in tanti monti et boschi,
sanza alcuna piatate el cor mi strugge,
né par che amor el duro cor conoschi:
rendimi lei, et la speranza persa,
et el legier corso suo rompi e 'ntraversa.
36
Io sono Ombrone che·lle mia cerule onde
per te raccoglio: a·tte tutte le serbo,
et facte tue diventon sì prophonde,
che sprezzi et ripe et ponti, alto et superbo;
questa è mia preda, et queste trecce bionde,
qual' in man porto con dolore acerbo,
ne fan chiar segno; in te mie speme è sola:
soccorri presto, ché la nympha vola!».
37
Arno vedendo Ombrone, da pietà mosso,
per che el tempo non basta a far risposta,
ritenne l'acqua, et già gonfiato et grosso
da·llungi al corso della bella Ambra osta.
Fu da nuovo timore freddo et percosso
el vergin pecto, quanto più s'acosta:
drieto Ombron sente, et innanzi vede un lago,
né sa che farsi, il cor gelato et vago.
38
Come fera cacciata et già difesa
da' can', fuggendo la bocca bramosa,
fuor del periglio già, la rete tesa
veggendo innanzi agli occhi, paurosa,
quasi già certa dovere essere presa,
né fugge innanzi o indrieto tornar osa,
teme e cani, alla rete non si fida,
non sa che farsi, et spaventata grida;
39
tal della bella nympha era la sorte:
da ogni parte da paura oppressa,
non sa che farsi, se non disiar morte;
vede l'un fiume et l'altro che s'apressa,
et disperata alhor gridava forte:
«O casta dea, a cui io fui concessa
dal caro padre et dalla madre antica,
unica aiuta all'ultima fatica!
40
Diana bella, questo pecto casto
non maculò giammai folle disio:
guardalo hor tu, perch'io, nympha, non basto
a dua nimici; et l'uno et l'altro è dio.
Col desio del morire m'è sol rimasto
al core el casto amore di Laur mio;
portate, o venti, questa voce extrema
a·lLaur mio, che la mia morte gema!».
41
Né eron quasi della bocca fore
queste parole, che i candidi piedi
furno occupati da novel rigore;
crescerli poi et farsi un saxo vedi,
mutar le membra e 'l bel corpo colore
ma pur, che donna fussi anchor tu credi:
le membra mostron come suol figura
bozzata et non finita in pietra dura.
42
Ombrone pel corso faticato et lapso,
per la speranza della cara preda
prende nuovo vigore et strigne il passo,
et par che quasi in braccio havere la creda:
crescer veggendo innanzi agli occhi il sasso,
ignaro anchora, non sa donde proceda;
ma poi, veggendo vana ogni suo voglia,
si ferma pieno di maraviglia et doglia.
43
Come in un parco cerva o altra fera,
ch'è di materia o picciol muro chiuso,
soprafacta da' cani campar non spera
vicina al muro, et per timor là suso
salta, et si lieva innanzi al can legiera,
resta el can dentro misero et deluso;
non potendo seguire dove è salita,
fermasi, et guarda el loco onde è fuggita;
44
così lo dio ferma la veloce orma,
guarda piatoso il bel saxo crescente,
el saxo, che anchor serba qualche forma
di bella donna, et qualche poco sente;
et come amore et la pietà lo 'nforma,
di pianto bagna il sasso amaramente,
dicendo: «O Ambra mia, queste son l'acque,
ove bagnar già el bel corpo ti piacque!
45
Io non haria creduto in dolor tanto
che la propia piatà, vinta da quella
della mia nympha, si fugissi alquanto:
per la maggior pietà d'Ambra mia bella,
questa, non già la mia, muove in me il pianto.
Et pur la vita trista et meschinella,
anchor che ecterna, quando meco penso,
è peggio in me, che in lei non haver senso.
46
Lapso, ne' monti miei paterni excelsi
son tante nymphe, et sicura è ciascuna;
tra mille belle la più bella scelsi,
non so come; et amando sol questa una,
primo segno di amore e crini svelsi,
et caccia'la della acqua fresca et bruna;
tenera et nuda poi, fuggendo exangue
tinse le spine e ' sassi el sacro sangue.
47
Et finalmente in un sasso conversa,
per colpa solo del mio crudele disio,
non so, non sendo mia, come l'ho persa,
né posso perder questo viver mio:
in questo è troppo la mia sorte adversa,
misero essendo et inmortale dio;
ché, s'io potessi pure almen morire,
potria il giusto inmortale dolor finire.
48
Io ho imparato come si compiacci
a donna amata et il suo amor guadagni,
che a quella che più ami più dispiacci!
O Borea algente, che gelato stagni,
l'acque correnti fa s'induri et ghiacci,
che, petra facto, la nympha acompagni:
né sol già mai co' raggi chiari et gialli
risolva in acqua e rigidi cristalli».