sabato 26 luglio 2014

Stromboli Diary - Capitolo 2


Il mare, trasparente e cristallino come il più puro degli zaffiri, si trasforma avvicinandosi a Stromboli: l'acqua si fa più scura, sembra addensarsi e diventare opaca, assumendo il colore del blu oltremare ricavato dai minerali con inclusioni di zolfo, l'elemento del fuoco che arde dentro il ventre dell'isola.
Il fondale ricoperto delle lave eruttate dal vulcano rende l'acqua innaturale come se navigassi in un mare di vernice, tanto è scuro da assorbire i raggi del sole e annullarne i riflessi...
Comunque questo non mi distrae dall'ammirare le case bianchissime che si accalcano lungo la costa e che risaltano fra il nero delle spiagge e il verde della vegetazione che le circonda.



Lascio la barca ormeggiata al piccolo porto e dopo essermi caricato dei bagagli, inizio a incamminarmi fra le piccole strade del paese che rapidamente si srotolano come nastri grigi fra i primi dislivelli dell'isola, ingraziosite da molti fiori colorati in piccole aiuole e che si affacciano dai muretti dei giardini, che contagiano l'aria dei profumi del gelsomino e di mille altre fragranze.

La mia meta però si trova oltre il paese, dove il sentiero scappa dietro la Chiesa di San Vincenzo e si lancia dritta verso l'interno, prima di inerpicarsi fra la fitta vegetazione.



Il sole è appena sceso dietro il vulcano e allenta la morsa di caldo che in questi primi giorni di estate mi ha messo a dura prova; risalendo il sentiero che porta i turisti ad ammirare le eruzioni, un diverticolo poco battuto parte sulla sinistra, semicoperto dalle sterpaglie. Il suolo è morbido, fine, incoerente, tanto che i miei passi riescono ad alzare una nuvola di polvere che ostacola la respirazione. I passi si fanno corti, un piede avanza sull'altro di pochi centimetri per risparmiare energia, lo zaino da escursione sulle spalle e un altro più piccolo davanti si fanno sentire in questa salita e nemmeno un filo di vento per asciugare il sudore, l'unico rumore che riesco a sentire è quello del mio respiro.... Anzi no, nell'aria si espande un rombo grave, profondo e ovattato: il vulcano mi ha ricordato ancora che è lui a guidare la vita di chi abita ai suoi piedi.


Ed eccomi di fronte alla mia tappa a circa duecento metri di altitudine. Il bianco spunta come una macchia nella fitta vegetazione, da vedere e goderselo come un miraggio nel deserto; con uno scricchiolio degno dei più classici film horror apro il cancelletto d'ingresso dell'Osservatorio e scarico immediatamente tutto il mio carico sul pavimento a cemento vivo della terrazza esterna, ancora rovente dal sole che l'ha illuminata dall'alba fino a pochi minuti prima. 

Mi volgo verso est e chiudo gli occhi, faccio un respiro profondo e tutti gli odori della macchia mediterranea risalgono fino al cuore; infine un ultimo sguardo all'orizzonte e posso dire di essere felice.


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