Fra la foce del fiume Magra e il Golfo della Spezia si trova un promontorio particolarmente suggestivo sotto diversi punti di vista: panoramico, storico, naturalistico e naturalmente, geologico. E' il famoso promontorio di Caprione e il luogo è chiamato Punta Bianca, che prende il nome dalla presenza di calcari bianchissimi che caratterizzano il paesaggio, immerso nella macchia mediterranea fra i lentischi e le ginestre.
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Punta Bianca |
Dal 1995 è una riserva naturale che comprende anche il medio corso del fiume Magra, la bassa parte del fiume Vara e tutto l'area dominata dall'alto da Monte Marcello.
Questo luogo è interessante dal punto di vista geologico perché rappresenta un momento chiave della storia evolutiva dell'Appennino Settentrionale ed un ambiente unico nel suo genere.
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La spaccatura della Pangea,
avvenuta quasi 200 milioni di anni fa
Immagine da: Wikimedia.org |
La Pangea, il supercontinente formatosi nel Paleozoico che riuniva tutte le terre emerse, inizia a mostrare segni di cedimento: le placche che la compongono cominciano ad allontanarsi, producendo un effetto di distensione che assottiglia la crosta terrestre e formando, nei punti di maggior debolezza, quelli che comunemente vengono chiamati rift (famoso è quello africano dove si trova anche la Dancalia, un altro luogo geologicamente da sogno), ovvero delle depressioni che possono essere sommerse dal mare (è quello che sta succedendo attualmente nel Golfo Persico) per poi arrivare alla nascita di un nuovo oceano.
Qui a Punta Bianca però non tutto va come dovrebbe e il rift si ferma, senza arrivare alla spaccatura come invece accadrà in altre zone fra il Gondwana (che corrispondeva ad Africa, Sud America, India, Australia ed Antartide) e la Laurasia (che corrispondeva ad Europa, Nord America ed Asia).
Dalla strada che porta a Monte Marcello (qui il tracciato) si seguono le indicazioni turistiche per Punta Bianca e si prosegue fino alla fine della strada bianca. Lasciando la macchina e scendendo a piedi lungo il sentiero, subito ci imbattiamo in quello che è il basamento su cui si sono depositati i sedimenti che costituiscono l'Appennino Settentrionale: si chiamano "Filladi e quarziti di Buti" e prendono il nome dal luogo dove sono state riconosciute per la prima volta, quindi capiamo subito che ci troviamo davanti a qualcosa che caratterizzava un ambiente esteso per molti chilometri, quasi 450 milioni di anni fa nell'Ordoviciano superiore. Sono rocce che si sfaldano facilmente lungo una superficie preferenziale perché, più di 300 milioni di anni fa, hanno subito una pressione molto elevata che ha modificato le caratteristiche originali della roccia: questo processo in geologia si chiama metamorfismo, le rocce vengono trasportate in profondità a pressioni e temperature talmente elevati che i minerali che le compongono si modificano. Questa è la testimonianza della formazione della Pangea, dello scontro fra i paleocontinenti in cui si formano nuove catene montuose, appartenenti a quella che viene chiamata "Orogenesi Varisica o Ercinica".
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Le filladi e quarziti di Buti. Essendo scisti, sono molto scivolosi e sono le pietre con cui è stato lastricato il sentiero in alcuni punti, quindi fate attenzione! |
Continuando a scendere lungo il sentiero si raggiunge un avamposto della Marina Militare risalente alla seconda guerra mondiale: sotto di essa affiora una struttura geologica dove si vedono rocce formate da tanti frammenti di diverso tipo e che si chiamano conglomerati: rappresentano il primo indizio che il continente inizia ad assottigliarsi in alcuni punti e, dai rilievi che si formano nelle zone non interessate dalla distensione, iniziano ad arrivare sedimenti erosi dagli agenti atmosferici; quelli che vediamo qui sono di un ambiente molto vicino alle montagne e sono stati datati a circa 240 milioni di anni fa, in una età chiamata Anisico... Li troviamo assieme ad altri enormi blocchi staccatisi dal promontorio che si riferiscono però a momenti più recenti della storia geologica del luogo ma ugualmente belli da vedere: sono fatti da una matrice scura, a volte grigia e a volte viola, con dentro moltissimi frammenti lenticolari di calcare bianco e sono chiamati megabrecce. Queste ultime fanno parte di un ambiente già sommerso dal mare e ad una certa profondità, probabilmente in fondo alle scarpate e canyon sottomarini in cui arrivavano per franamento i depositi accumulati a profondità minori.
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I blocchi di megabrecce staccatisi dal promontorio |
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Particolare delle megabrecce:
abbiamo peliti violacee con lenti di calcare bianco e vulcaniti verdi |
Se volgiamo lo sguardo verso il promontorio non possiamo non vedere quelli che sono i depositi caratteristici di tutta la zona: chiamati "Marmi bianchi di Punta Bianca", sono un deposito sottomarino non molto profondo, formato dallo smantellamento di una piattaforma carbonatica in erosione.
Avanzando fra i blocchi in direzione della punta, facendo attenzione a non scivolare, possiamo notare delle strutture molto particolari: si formano quando la roccia viene sottoposta a pressioni tali da piegare i vari strati.
Quelle che vediamo però sono dette "pieghe parassite" perché sono piccole di dimensioni e facenti parte di una piega più grande: infatti Punta Bianca rappresenta una grande piega, generata durante l'orogenesi della nostra penisola.
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Pieghe parassite che si vedono dirigendosi verso la punta del promontorio |
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Queste fitte lineazioni si chiamano "clivaggio"
sono un indice di come e in quale direzione gli strati rocciosi si sono piegati |
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Pieghe parassite da manuale! |
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Sezione geologica dell'area di Punta Bianca |
Sotto il bastione militare questa struttura si vede benissimo, con i conglomerati che avvolgono le filladi ma bisogna guardala dal mare, visto che a piedi il passaggio è troppo pericoloso.
A metà altezza del promontorio si vede un sentiero che porta dall'altro lato ma una recente frana impedisce il passaggio; dall'altro lato si arriva al punto di massima distensione del rift, con la deposizione di basalti a pillow (cuscino) che si sono formati nelle zone di frattura profonda che arrivava fino al mantello terrestre. Comunque è possibile andare alla spiaggia di Punta Corvo, attraverso il sentiero n.3d del CAI, partendo dal paese di Monte Marcello, per poter ammirare questi depositi vulcanici i cui sedimenti vanno a formare questa particolarissima spiaggia fatta di sassolini naturalmente grigio scuri.
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La spiaggia di Punta Corvo, proprio sotto Monte Marcello
immagine presa da Google Earth |
L'unico avvertimento è quello di informarsi se il sentiero è aperto a causa delle frequenti frane che avvengono lungo i fianchi del promontorio del Caprione, che solitamente comportano la chiusura temporanea anche della spiaggia.
Quindi, se deciderete di andare a passare una giornata in queste zona, vi consiglio di aguzzare la vista perché ogni roccia potrebbe riservarvi delle sorperse, come questi accumuli di pirite (ormai alterata in ematite)!
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Minerali cubici di pirite, ormai alterati in ematite (il ferro si è ossidato) |
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