venerdì 28 febbraio 2014

Geo Storie: La nascita del bacino Firenze-Prato-Pistoia

Pistoia - panorama

Sono sicuro che molti miei concittadini, ma anche diversi turisti in visita a Pistoia, si siano accorti di come sia bella la nostra città: i rilievi la cingono come una corona e lei con i suoi monumenti posti su un piccolo rilievo, fa bella mostra di sé per chi arriva da Firenze in treno o in auto. Firenze e Pistoia, appunto: i due estremi, le due porte di accesso di una grande pianura chiusa fra le montagne dell'Appennino e del Monte Albano; non so quanti si siano mai domandati come si sia formato il territorio su cui è nata la nostra città: è una storia che va indietro nel tempo di milioni di anni e capirla può riservarci delle sorprese per il futuro.


Un po' di storia geologica...

Seppure non sia facile spiegarlo con parole semplici, l'Italia è il risultato dello scontro fra l'Africa e l'Europa, iniziato circa 80 milioni di anni fa quando l'oceano che le separava, chiamato Oceano Ligure Piemontese, iniziò a chiudersi sotto la spinta dei due continenti.


L'Oceano Ligure Piemontese si trovava nella zona colorata di nero fra Europa ed Africa
Ad ovest di questa, si stava aprendo l'Oceano Atlantico
mentre il Nord America era ancora attaccato all'Europa.
Da: Boccaletti et al., 1984
Anche dopo la chiusura di questo oceano, avvenuta circa 40 milioni di anni fa, le forze immense che spingevano i due continenti hanno continuato ad agire ed il loro scontro ha generato gli Appennini, che fanno parte di una lunghissima catena di montagne che vanno dall'Africa nordoccidentale e proseguono attraverso le Alpi e quindi nella penisola balcanica, Turchia, Iran e Himalaya. 


La catena detta Alpino-Himalayana,
 con le direzioni di movimento dei fronti principali.
Nei milioni di anni che sono seguiti, gli Appennini hanno continuato a ingrandirsi grazie al continuo accavallarsi di chilometri e chilometri di rocce che venivano spinte in alto da questo scontro titanico fra continenti: inizialmente sul fondo del mare e poi via via più su, fino ad emergere dal mare poco più di 10 milioni di anni fa, continuando ad innalzarsi e formando le bellissime montagne che adesso ammiriamo.



I bacini formati a ovest del fronte di spinta orogenico,
lo spartiacque appenninico divide i due mondi,
a nord in compressione e a sud in distensione
Da: Bartolini e Pranzini, 1981
Il fronte di spinta dell'Europa contro l'Africa, in questi milioni di anni si è spostato da Ovest verso Est e nei luoghi dove prima ha compresso le rocce accavallando le une sulle altre, adesso abbiamo delle depressioni dovute alla distensione che si è generata dopo il suo passaggio... 

E circa 3 milioni di anni fa il fronte è passato anche dove adesso sorgono Pistoia, Prato e Firenze ed ecco che, come già successo nelle zone ancora più a Ovest, anche qui si è formata inizialmente una depressione che poi si è evoluta tramite una grande faglia che può essere seguita ancora oggi lungo il limite nordorientale di questo nuovo bacino, che ha iniziato a riempirsi di sedimenti portati dai nuovi fiumi che si sono formati, come il Bisenzio e il Mugnone. 

L'Arno fino a meno di un milione di anni fa è stato un affluente del Tevere e quindi è arrivato più tardi e l'Ombrone, se esisteva, era ancora allo stato embrionale ed ha iniziato a far notare la sua presenza circa 1 milione di anni fa. Questo perché lo spartiacque appenninico, ovvero la linea che divide i fiumi che vanno a sud verso il Tirreno da quelli che vanno a nord verso l'Adriatico, era molto più vicino a noi di quanto si pensi: La Sieve andava verso la pianura padana prima di cambiare e gettarsi nella ValdiChiana e diventare un affluente dell'Arno e lo stesso faceva la Lima, prima di diventare un affluente del Serchio (che fino all'arrivo del Romani se ne andava dritto fino a Pontedera, prima di essere deviato artificialmente verso il mare). 


Questo è quello che si presentava a chi si fosse affacciato circa 3 milioni di anni fa
nella Toscana di allora. Vediamo la Sieve e la Lima andare a Nord.
Il Serchio sfociava ad Altopascio in un mare che allora arrivava fin sotto il Monte Albano e il Chianti.
Da: Bartolini e Pranzini, 1981
Quindi la nostra pianura è rimasta un territorio coperto da acque ristagnanti, fino a quando l'Arno non è riuscito a trovare uno sbocco in quella che è conosciuta come Gola della Gonfolina, vicino a Montelupo Fiorentino.
A proposito vi voglio segnalare una pagina interessante e di come la geologia si mischi alla Storia ed alle leggende su come sia stata aperta quella che veniva considerata una diga naturale che impediva il defluire delle acque e che rendeva tutta la piana di Firenze, Scandicci e Signa una zona invivibile.


Cosa succederà in futuro? 

Sicuramente lo spartiacque continuerà a spostarsi verso nord e nuovi fiumi o torrenti invertiranno il loro senso di scorrimento, il Po avrà sempre meno affluenti di destra e la Toscana sarà percorsa da ancora più corsi d'acqua.
Pistoia? Sempre che fra qualche decina di migliaia di anni esista ancora e spero sia così, dovrà fare i conti con il suo torrente principale, l'Ombrone: nella zona di Pian di Giuliano, uno dei suoi affluenti detto Fosso della Ciricea sta erodendo il fianco della montagna che lo separa dal corso del fiume Reno che scorre dall'altra parte ma ad una quota più alta; quando il fosso avrà eroso a sufficienza potrà avvenire quella che viene chiamata una "cattura fluviale" e le acque del Reno inizieranno a riversarsi nell' Ombrone che si trova ad una quota molto più bassa e che così vedrà aumentata la sua portata d'acqua con tutte le conseguenze del caso: inondazioni, impaludamento della pianura; anche l'Arno risentirà dell'arrivo di molta acqua in più e le zone da Empoli in poi saranno soggette a un rischio più alto di esondazione... 
Nel cerchio nero si può notare come il Fosso della Ciricea sia ormai vicino a catturare le acque del Reno,
che riverserà le sue acque nell' Ombrone e quindi nella piana pistoiese e infine nell'Arno.

Ma ve lo ricordo: ci vorranno decine di migliaia di anni, ogni goccia d'acqua potrà sì trasportare un solo piccolo granello ma la Natura ha tutto il tempo che vuole; non ci interesserà direttamente ma credo sia comunque interessante riuscire a comprendere come il nostro pianeta operi nel suo continuo trasformarsi nel corso del tempo.

lunedì 24 febbraio 2014

GeoTrip #1: La Serie Geologica di Punta Bianca

Fra la foce del fiume Magra e il Golfo della Spezia si trova un promontorio particolarmente suggestivo sotto diversi punti di vista: panoramico, storico, naturalistico e naturalmente, geologico. E' il famoso promontorio di Caprione e il luogo è chiamato Punta Bianca, che prende il nome dalla presenza di calcari bianchissimi che caratterizzano il paesaggio, immerso nella macchia mediterranea fra i lentischi e le ginestre.
Punta Bianca 

Dal 1995 è una riserva naturale che comprende anche il medio corso del fiume Magra, la bassa parte del fiume Vara e tutto l'area dominata dall'alto da Monte Marcello.
Questo luogo è interessante dal punto di vista geologico perché rappresenta un momento chiave della storia evolutiva dell'Appennino Settentrionale ed un ambiente unico nel suo genere.

La spaccatura della Pangea,
avvenuta quasi 200 milioni di anni fa
Immagine da: Wikimedia.org
La Pangea, il supercontinente formatosi nel Paleozoico che riuniva tutte le terre emerse, inizia a mostrare segni di cedimento: le placche che la compongono cominciano ad allontanarsi, producendo un effetto di distensione che assottiglia la crosta terrestre e formando, nei punti di maggior debolezza, quelli che comunemente vengono chiamati rift (famoso è quello africano dove si trova anche la Dancalia, un altro luogo geologicamente da sogno), ovvero delle depressioni che possono essere sommerse dal mare (è quello che sta succedendo attualmente nel Golfo Persico) per poi arrivare alla nascita di un nuovo oceano.


Qui a Punta Bianca però non tutto va come dovrebbe e il rift si ferma, senza arrivare alla spaccatura come invece accadrà in altre zone fra il Gondwana (che corrispondeva ad Africa, Sud America, India, Australia ed Antartide) e la Laurasia (che corrispondeva ad Europa, Nord America ed Asia).

Dalla strada che porta a Monte Marcello (qui il tracciato) si seguono le indicazioni turistiche per Punta Bianca e si prosegue fino alla fine della strada bianca. Lasciando la macchina e scendendo a piedi lungo il sentiero, subito ci imbattiamo in quello che è il basamento su cui si sono depositati i sedimenti che costituiscono l'Appennino Settentrionale: si chiamano "Filladi e quarziti di Buti" e prendono il nome dal luogo dove sono state riconosciute per la prima volta, quindi capiamo subito che ci troviamo davanti a qualcosa che caratterizzava un ambiente esteso per molti chilometri, quasi 450 milioni di anni fa nell'Ordoviciano superiore. Sono rocce che si sfaldano facilmente lungo una superficie preferenziale perché, più di 300 milioni di anni fa, hanno subito una pressione molto elevata che ha modificato le caratteristiche originali della roccia: questo processo in geologia si chiama metamorfismo, le rocce vengono trasportate in profondità a pressioni e temperature talmente elevati che i minerali che le compongono si modificano. Questa è la testimonianza della formazione della Pangea, dello scontro fra i paleocontinenti in cui si formano nuove catene montuose, appartenenti a quella che viene chiamata "Orogenesi Varisica o Ercinica".


Le filladi e quarziti di Buti. Essendo scisti, sono molto scivolosi e sono le pietre con cui è stato lastricato il sentiero in alcuni punti, quindi fate attenzione!

Continuando a scendere lungo il sentiero si raggiunge un avamposto della Marina Militare risalente alla seconda guerra mondiale: sotto di essa affiora una struttura geologica dove si vedono rocce formate da tanti frammenti di diverso tipo e che si chiamano conglomerati: rappresentano il primo indizio che il continente inizia ad assottigliarsi in alcuni punti e, dai rilievi che si formano nelle zone non interessate dalla distensione, iniziano ad arrivare sedimenti erosi dagli agenti atmosferici; quelli che vediamo qui sono di un ambiente molto vicino alle montagne e sono stati datati a circa 240 milioni di anni fa, in una età chiamata Anisico... Li troviamo assieme ad altri enormi blocchi staccatisi dal promontorio che si riferiscono però a momenti più recenti della storia geologica del luogo ma ugualmente belli da vedere: sono fatti da una matrice scura, a volte grigia e a volte viola, con dentro moltissimi frammenti lenticolari di calcare bianco e sono chiamati megabrecce. Queste ultime fanno parte di un ambiente già sommerso dal mare e ad una certa profondità, probabilmente in fondo alle scarpate e canyon sottomarini in cui arrivavano per franamento i depositi accumulati a profondità minori.


I blocchi di megabrecce staccatisi dal promontorio


Particolare delle megabrecce:
abbiamo peliti violacee con lenti di calcare bianco e vulcaniti verdi
Se volgiamo lo sguardo verso il promontorio non possiamo non vedere quelli che sono i depositi caratteristici di tutta la zona: chiamati "Marmi bianchi di Punta Bianca", sono un deposito sottomarino non molto profondo, formato dallo smantellamento di una piattaforma carbonatica in erosione.

Avanzando fra i blocchi in direzione della punta, facendo attenzione a non scivolare, possiamo notare delle strutture molto particolari: si formano quando la roccia viene sottoposta a pressioni tali da piegare i vari strati. 

Quelle che vediamo però sono dette "pieghe parassite" perché sono piccole di dimensioni e facenti parte di una piega più grande: infatti Punta Bianca rappresenta una grande piega, generata durante l'orogenesi della nostra penisola.


Pieghe parassite che si vedono dirigendosi verso la punta del promontorio

Queste fitte lineazioni si chiamano "clivaggio"
sono un indice di come e in quale direzione gli strati rocciosi si sono piegati

Pieghe parassite da manuale!



















Sezione geologica dell'area di Punta Bianca


Sotto il bastione militare questa struttura si vede benissimo, con i conglomerati che avvolgono le filladi ma bisogna guardala dal mare, visto che a piedi il passaggio è troppo pericoloso.

A metà altezza del promontorio si vede un sentiero che porta dall'altro lato ma una recente frana impedisce il passaggio; dall'altro lato si arriva al punto di massima distensione del rift, con la deposizione di basalti a pillow (cuscino) che si sono formati nelle zone di frattura profonda che arrivava fino al mantello terrestre. Comunque è possibile andare alla spiaggia di Punta Corvo, attraverso il sentiero n.3d del CAI, partendo dal paese di Monte Marcello, per poter ammirare questi depositi vulcanici i cui sedimenti vanno a formare questa particolarissima spiaggia fatta di sassolini naturalmente grigio scuri.
La spiaggia di Punta Corvo, proprio sotto Monte Marcello
immagine presa da Google Earth

L'unico avvertimento è quello di informarsi se il sentiero è aperto a causa delle frequenti frane che avvengono lungo i fianchi del promontorio del Caprione, che solitamente comportano la chiusura temporanea anche della spiaggia.

Quindi, se deciderete di andare a passare una giornata in queste zona, vi consiglio di aguzzare la vista perché ogni roccia potrebbe riservarvi delle sorperse, come questi accumuli di pirite (ormai alterata in ematite)!
Minerali cubici di pirite, ormai alterati in ematite (il ferro si è ossidato)


martedì 18 febbraio 2014

Alluvioni: il vivaismo sotto accusa, quali sono i problemi geologici?

Questo inizio 2014 è stato caratterizzato da piogge intense (oltre tre volte la media stagionale) ed anomalie climatiche che hanno reso questo inverno il terzo più caldo degli ultimi due secoli. Nella zona dove abito, Pistoia, la piana a sudest della città ha dovuto affrontare per tre volte in un mese l'esondazione dei torrenti e dei fossi minori; passata l'emergenza, è arrivato il momento delle polemiche fra abitanti e vivaisti, messi sul banco degli imputati con le loro attività che, a detta degli accusatori, impediscono il corretto drenaggio dell'acqua nel terreno a discapito del livello delle acque dei corsi d'acqua. Dalla loro, i vivaisti affermano che gli allagamenti avvengono anche dove non ci sono vivai e danno la colpa alla scarsa manutenzione degli argini e ai pochi fondi a disposizione per eseguire dei lavori straordinari di messa in sicurezza.

Quello che posso dire dal punto di vista geologico è che in effetti la piana di Pistoia ha delle criticità che non favoriscono certo il drenaggio di abbondanti piogge e i vivai sono solo una parte del problema. Innanzitutto vorrei però farvi vedere un video che ho girato a marzo 2013:





Questo è un video girato nel 2013 ma purtroppo, ormai è buono per tutti gli anni: si vede chiaramente come il corso del Calice (qui siamo ad Agliana, sul confine fra le province di Pistoia e Prato) si trovi a un livello più alto di quello del terreno e come tutto intorno ci siano abitazioni. L'acqua scorre in uno spazio che non è il suo, costretto fra argini artificiali costruiti per bonificare i terreni paludosi e aumentare lo spazio disponibile per le coltivazioni, adesso occupato anche dalle costruzioni. 

Questo è un problema che parte da lontano, fin dagli antichi romani che in questa pianura fra Pistoia e Firenze (la mitica e impalpabile area metropolitana) iniziarono la bonifica e la centuriazione, ovvero la suddivisione dei terreni in spazi rettangolari, suddivisi da fossi e canali. Da allora, i corsi d'acqua hanno seguito i limiti agricoli in tutte le modifiche eseguite anche nel medioevo (gli affluenti dell'Ombrone Pistoiese come la Brana, la Bure, la Stella, furono deviati per inserirsi molto più a valle, proprio per evitare le alluvioni nella pianura appena fuori la città) e per rendersene conto basta un semplice sguardo con Google Earth o Maps.

Questo ha posto un limite alle portate dei torrenti e dei fiumi, che se nel medioevo potevano essere sufficienti (anche se le esondazioni avvenivano comunque ma con frequenza minore), adesso cominciano a mostrare il limite. Cosa è cambiato da allora?

Due cose fondamentalmente: il consumo di suolo e il cambiamento climatico.

Il consumo di suolo non è solo cementificazione, che a Pistoia c'è sicuramente stata ma non a livelli allarmistici come ad esempio a Prato, dove il boom economico del tessile sostituì i campi coltivati con ettari ed ettari di fabbriche; i vivai (eccoci al punto cruciale) si sono espansi notevolmente come superficie ed anche il loro mercato si è trasformato. Basta dare un'occhiata sotto il verde delle foglie (quando c'è) per vedere ettari ed ettari di terreno brullo, senza un filo d'erba e quindi senza vegetazione che trattenga e consumi l'acqua del terreno per la crescita; negli ultimi anni la vasetteria ha occupato un posto rilevante nel settore vivaistico e le cose sono peggiorate, visto che in questo caso il terreno non è nemmeno visibile a causa di teli impermeabili e ghiaia che fanno da base per poter "parcheggiare" le piante come un grande magazzino all'aperto. Le acque che ruscellano sopra la superficie vengono però raccolte in apposite vasche all'aperto e tutto dovrebbe essere sotto controllo, fino a quando queste non sono piene; in caso di precipitazioni eccezionali come quelle a cui assistiamo in questo periodo, nemmeno queste vasche bastano, quindi sono sottodimensionate alle condizioni meteorologiche attuali ma ingrandirle vuol dire sottrarre spazio per le piante...

I terreni a vivaio sono terreni brulli, senza vegetazione che può assorbire l'acqua del sottosuolo.

I terreni destinati alla vasetteria vengono impermeabilizzati e l'acqua piovana ci scorre sopra senza essere assorbita dal terreno.

Il cambiamento climatico è comunque la variabile maggiore: da un rapporto della Regione Toscana del 2012 (scaricabile qui) sulle proposte di modifica del P.A.E.R. (Piano Ambientale ed Energetico Regionale) si nota come il nostro clima si stia tropicalizzando: piove meno, in meno giorni ma molto intensamente (e si osservano sempre più ondate di calore e siccità estiva), tanto da far cadere la maggior parte della pioggia annuale solo in pochi giorni, specialmente in autunno.
A sinistra l'anomalia delle precipitazioni degli ultimi decenni su base annuale; a destra l'anomalia si riferisce solo al periodo autunnale. Fonte: Consorzio LaMMA, 2010


Ecco come grandi quantità di precipitazioni che scaricano grandi quantità di acqua in poco tempo, non permettano agli attuali corsi d'acqua di defluire velocemente e il terreno così impermeabilizzato e privo di vegetazione capace di assorbire e anzi, fornitore di acqua extra per i torrenti già colmi, siano un mix pericoloso per l'equilibrio idrologico delle nostre aree che, visto che si chiamano alluvionali, sono naturalmente destinate a raccogliere ciò che arriva dai rilievi montuosi.

Personalmente posso dire che la verità sta nel mezzo, ovvero che ormai abitiamo in un territorio che ha subito un'espansione demografica elevata negli ultimi 100 anni, dove l'attività vivaistica è cresciuta oltre misura, è nota la mancanza di interventi strutturali decisivi per migliorare il drenaggio delle acque piovane e che queste non siano più le stesse del secolo scorso: è ammissibile quindi pensare di aver raggiunto e in qualche caso superato il limite fisiologico che il territorio può sopportare e che quindi le azioni da intraprendere non debbano riguardare solo una parte delle variabili in gioco.

Un'ultima cosa: qualcuno potrebbe obiettare come le piogge più intense si siano verificate in questo inverno e non solo in autunno! Giusto, ma questo è un evento che non è legato a un trend climatico ma ad un effetto che influisce sul clima invernale di tutto l'emisfero boreale a noi vicino con variazioni irregolari: è la North Atlantic Oscillation, di cui vi parlerò prossimamente. 
Diciamo che piove sul bagnato, per usare una battuta infelice.


domenica 16 febbraio 2014

#DissestoItalia: Il dissesto idrogeologico italiano in una inchiesta interattiva

Il 6 febbraio è stato pubblicato on line il primo documentario interattivo sulla storia e la situazione del dissesto idrogeologico del paese.

#DissestoItalia è il nome dell'inchiesta promossa dal Consiglio Nazionale dei Geologi, Consiglio Nazionale degli Architetti, Associazione Nazionale Costruttori Edili e Legambiente con la finalità di sensibilizzare il pubblico verso questo tema che ogni anno torna prepotentemente alla ribalta a causa dei molti, troppi, eventi calamitosi che si abbattono sul nostro territorio.

Un modo nuovo di comunicare e rendere cosciente il pubblico di vivere in un territorio che per sua natura geologica è sottoposto a fenomeni di valanghe, frane e allagamenti, attraverso sezioni dedicate alla cronologia degli eventi più disastrosi degli ultimi cento anni; ai problemi più contingenti e alle soluzioni suggerite dai promotori dell'inchiesta; una mappa con la localizzazione dei vari tipi di rischio e dove ognuno può verificare quello in cui abita, rendendosi conto della difficoltà di gestire tante emergenze con i pochi fondi a disposizione, nonché i rischi che corrono anche i beni culturali; infine una serie di documenti sui costi, vittime, mappe di rischio che chiariscono la portata del problema: per fare un esempio, la Toscana (dove abito) ha il 98% dei Comuni a rischio idrogeologico. 

Potete vedere tutti i video sul canale Vimeo di #DissestoItalia oppure seguire il canale sia su Twitter che Facebook.


giovedì 13 febbraio 2014

La Disciplina della Terra

"Me ne stavo qui, con gli occhiali al soffitto a innamorarmi dei colori delle cose ma desiderare non basta, da così lontano non basta. Ora ho un contratto con gli angeli e ti ritrovo di sicuro, vita, in qualche mese d'agosto accecante o in un tempo meno illuso che vuoi tu.

Perché la vita non va così, è la disciplina della Terra."

Ivano Fossati
Atacama - da Wikimedia.org

2009. In un attimo ho cambiato direzione alla mia vita, che stava percorrendo da molti anni la stessa strada, senza deviazioni; la voglia di cambiamento era già nell'aria da molti anni ma la sicurezza, la comodità, il pigro lasciarsi trascinare avanti per giorni, mesi, anni, mi ha sempre fatto rimandare questa scelta: cercare un cammino più emozionante e appagante.
Ho trovato una strada non certo sicura, non certo tranquilla, non certo semplice; sono passati cinque anni e forse solo adesso posso dire di riuscire a dare un senso a questo sentiero che sto percorrendo: lentamente la nebbia si dirada e vedo ciò che vorrei raggiungere o meglio, il percorso che vorrei seguire. 

La geologia è stata una rivelazione: scelta sulla carta, non ho mai dubitato un istante di averla fatta, trovandomi a riconoscere di aver avuto una vera e propria folgorazione per questa disciplina, la disciplina della Terra.

Una disciplina che non contempla solo il nome che la definisce ma anche acqua, aria, fuoco... Con un elemento in più: il tempo. Il quinto elemento della materia fa la differenza tra la geologia e tutte le altre discipline; un elemento che è nello stesso istante lento e veloce, che può essere circolare e lineare insieme, relativo ed assoluto.

Di geologia scriverò in questo blog, legata in qualche caso ad un'altra passione che non mi ha mai abbandonato nella vita: il viaggio, che può essere sia una meta lontana, magari esotica, oppure una camminata fuori l'uscio di casa. Se c'è una cosa che la geologia mi ha insegnato è che qualunque luogo, il più insignificante dei sassi ma anche una qualsiasi manciata di polverosa terra che potremmo prendere a caso fra le mani, hanno dentro di sé una storia meravigliosa fatta di milioni di anni, forze immense che si sono scontrate, energia...  acqua, fuoco, aria e chiaramente, terra.