sabato 29 marzo 2014

Il Macigno, la pietra dura e resistente con cui è stata costruita Pistoia

"Avere la testa dura come un macigno". Quante volte nel gergo popolare abbiamo sentito questo nome che ha sempre indicato una pietra grossa, resistente e pesante: è un termine molto antico che proviene proprio dal suo utilizzo, ovvero la costruzione delle mole per macinare il grano grazie alla sua resistenza all'abrasione, dovuta all'alta presenza di quarzo nella sua composizione.

Il primo utilizzo in geologia si ha nel 1903, all'interno del Foglio n.97 della Carta Geologica d'Italia proprio sulla nostra montagna, ovvero S.Marcello Pistoiese. La sua genesi è legata alla geologia della nostra penisola: queste rocce rappresentano i depositi cosiddetti di "avanfossa", ovvero del bacino che stava fra la penisola balcanica e gli Appennini, formatosi fra 28 e 20 milioni di anni di anni fa; era quello che adesso è rappresentato dall'Adriatico, ovvero un bacino che riceveva i sedimenti erosi dalle Alpi e che giungevano in questa fossa sotto forma di vere e proprie frane sottomarine chiamate "torbiditi", termine coniato da Migliorini, un geologo dell'Università di Firenze e usato in tutto il mondo.


L'avanfossa è un bacino creato dalla inflessione della crosta continentale,
sotto la pressione degli appennini che si muovono verso la penisola balcanica.
In questo bacino arrivano i sedimenti delle Alpi in forte erosione sotto forma di torbiditi.






Inizialmente l'area considerata come macigno era molto estesa, tanto che furono definiti un "Macigno del Chianti" e un "Macigno del Mugello" per distinguere i diversi tipi di depositi; con il tempo e successive modifiche assieme all'affinamento della ricerca, si è arrivati a definire l'Arenaria Macigno soltanto quella denominata "del Chianti".


Il Macigno era indicato con una colorazione marrone e sue sfumature,
qui ad esempio il foglio 107 della Carta Geologica d'Italia, II edizione, zona Monte Falterona.

Il Macigno e la Pietra Serena

L'arenaria cavata da queste rocce del Macigno è diventata molto famosa in campo architettonico con il nome di Pietra Serena, grazie al suo aspetto di color azzurrognolo come il ciel sereno; purtroppo è stata utilizzata in modo improprio, essendo una pietra pregiata per gli interni ma scadente se esposta agli agenti atmosferici

Numerose sono le aree di cava da cui è stata estratta (qui un link a un progetto dell'Università di Firenze al riguardo), che ha avuto un importante ruolo nell'architettura della città di Pistoia assieme all'arenaria del vecchio "Macigno del Mugello", oggi chiamata "Arenaria del Cervarola" e al calcare dell'Alberese: i maggiori palazzi storici e le Chiese sono costruiti con questa pietra.

La facciata della pregevole Chiesa di San Pier Maggiore a Pistoia costruita in arenaria,
utilizzata assieme al calcare Alberese e con particolari di costosissimo Verde di Prato.
Il suo utilizzo in zona si ha già con gli etruschi tramite il ritrovamento di alcuni cippi funerari e in età romana nella pavimentazione stradale rinvenuta nelle fondamenta del Palazzo Dei Vescovi; successivamente bisogna aspettare la rinascita della città come libero Comune per poter apprezzare la nuova veste architettonica proprio grazie all'utilizzo del Macigno (e calcare Alberese) come risorsa lapidea principale.

Cippi funerari di epoca etrusca,
riutilizzati nelle fondamenta del Palazzo dei Vescovi.
Pistoia, Percorso Archeologico.
Bisogna segnalare comunque che anche in tutte le costruzioni minori della città si faceva ricorso al Macigno anche se in una modalità differente: molte delle abitazioni ancora in uso sono state costruite fino al secolo scorso con ciottoli di fiume (principalmente della Brana e dell'Ombrone) e questi non sono altro che frammenti erosi di Macigno (o di Cervarola, secondo il luogo di provenienza); quindi è lecito dire che la città di Pistoia deve la sua stessa esistenza a questa pietra, questi frammenti erosi dalle Alpi tanti milioni di anni fa e trasportati tramite una frana sottomarina sul fondo di un bacino che adesso si trova quasi a duemila metri di altezza e non è altro che la nostra montagna, che cinge Pistoia come una corona di solida roccia.

venerdì 21 marzo 2014

GeoTrip #2: Monte Serra, in bicicletta attraverso il triassico

Questo che vi presento è un percorso molto frequentato dai ciclisti toscani: fra Pisa e Lucca si trova un rilievo che apparentemente sembra essere "fuori luogo" rispetto a quello che si trova intorno, ovvero una pianura alluvionale (come già accennato nel post sulla storia geologica del bacino di Pistoia-Prato-Firenze) creata dal Serchio a nord e dall'Arno a sud.


Il Monte Serra al tramonto. In basso la pianura del Serchio


Il Monte Serra però è un rilievo molto importante dal punto di vista geologico: vi troviamo rocce che sono fra le più antiche della Toscana, risalenti a più di 400 milioni di anni fa e rocce che testimoniano l'inizio del separarsi della Pangea che invece hanno "soltanto" quasi 250 milioni di anni; qui ci troviamo in un ambiente che andava dal fluviale al mare basso e in questo GeoTrip ce ne potremo rendere conto.



Dal paese di Buti si inizia a salire lungo la strada che porta al Monte Serra dove si trovano i ripetitori della Rai, ben visibili a chilometri di distanza. Come potete vedere nella mappa (link), nella prima parte della salita incontriamo subito delle rocce formate da tanti pezzi di minerali, per lo più sul bianco e sul rosato e sono chiamate Anageniti Grossolane: si sono depositate in un ambiente fluviale ad alta energia e molto vicino ai rilievi da cui ha prelevato e poi depositato i frammenti che vediamo incastonati in questa matrice grigiastra; dobbiamo immaginarci fiumi che portano detriti come quelli che scendono giù dalle Alpi e arrivano nella pianura con la forza di un torrente in piena, soltanto che questi fiumi scorrevano verso Ovest, quindi dobbiamo pensare che una volta ci fossero state delle montagne ad est e quindi verso l'Umbria, che adesso sono state smantellate, sepolte e questa è la loro testimonianza.


Le Anageniti Grossolane, trasporto fluviale ad alta energia


Salendo il paesaggio cambia: le rocce intorno hanno un aspetto totalmente diverso, si sfaldano molto facilmente e se fate attenzione potrete notare delle vene bianche che le attraversano: questo è il mondo delle "Filladi e Quarziti listate di Buti" che abbiamo già incontrato a Punta Bianca ma qui hanno un aspetto molto diverso, vanno dal rossiccio al viola per via dell'accumulo di ferro sottoforma di ematite. 


Le Filladi e Quarziti listate di Buti in un particolare molto suggestivo:
le lineazioni rappresentano un "clivaggio di crenulazione",
ovvero l'indizio di piegamenti avvenuti in profondità a causa della tettonica
Qui su due direzioni diverse, quindi in due momenti geologici diversi.


Quasi in cima al tratto in salita possiamo riconoscere di nuovo le Anageniti Grossolane sopra le Filladi di Buti ed il netto passaggio da una formazione all'altra indica che l'ambiente di deposizione è cambiato bruscamente.

Da questo punto del percorso in poi, incontriamo solo rocce del triassico (fra 200 e 250 milioni di anni) che ci accompagneranno fino alla cima del Monte Serra; infatti, facendo due tornanti e arrivando dove la strada inizia ad avere una minor pendenza, troviamo sull'orlo del burrone il passaggio dalle Anageniti Grossolane agli Scisti Violetti: non è che le rocce siano viola se non le spacchiamo almeno con il martello ma vediamo che i frammenti di minerali che riuscivamo a vedere molto bene prima, adesso non lo sono più; cambiando rocce, cambia anche l'ambiente dove si sono sedimentate; siamo passati da un ambiente molto vicino ai rilievi ad uno di pianura, precisamente in una piana di esondazione, dove il fiume che la attraversava riversava sabbia e limo durante le alluvioni.


A sinistra le Anageniti Grossolane
A destra gli Scisti Violetti


Poco dopo ci ritroviamo ad attraversare delle rocce molto familiari, assomigliano al Macigno e in effetti sono delle arenarie ma la loro genesi è diversa: si chiamano "Anagenti Minute" e rappresentano una zona di pianura vicino alla foce di un fiume, quindi con i suoi canali che si dividono e si immettono in mare. Proprio attraversando questo mondo si arriva al bivio per Monte Serra (Prato Ceragiola), quindi girate a destra e continuate la salita che vi porterà attraverso un altro mondo totalmente diverso.

Se fino ad ora abbiamo attraversato la successione chiamata "Formazione della Verruca" di età triassica media (250-240 milioni di anni circa), dopo poco aver svoltato ci troviamo dentro la "Formazione di Monte Serra" di età carnica (240-230 milioni di anni circa): le rocce vi sembreranno tutte uguali, ovvero sempre delle arenarie ma intercalate a queste ci sono anche degli scisti e il loro colore è grigio-verde, soprattutto se rompete la roccia con un martello; da un ambiente fluviale si passa agli "Scisti e Quarziti Verdi" di mare sottile. 

Quindi il percorso che abbiamo fatto fino ad adesso dal fondovalle ci ha accompagnato nel tempo e nello spazio: da un mondo emerso con rilievi e fiumi torrentizi a una pianura alluvionale e adesso sott'acqua in un ambiente dove il ricircolo non è sufficiente a ossigenare l'acqua ed è il colore della roccia che mi indica questo, altrimenti avrei avuto colori fra il rosa, rosso, violetto come le rocce incontrate precedentemente, quando l'ambiente era ancora emerso.


I segni della Primavera sul Monte Serra


Si arriva quindi in cima alla salita (Prato di Calci) e la strada si divide per arrivare ai ripetitori. Sono strade private ma in bicicletta si può comunque andare. A sinistra si può scendere per tornare verso Pieve di Compito e la SS439 che corre sottomonte e che porta a Lucca oppure a Bientina; noi però abbandoniamo per un po' il mezzo di trasporto e ci incamminiamo nel sentiero che dall'incrocio risale verso i ripetitori Rai per poter guardare le rocce più da vicino e anche il panorama, dove è possibile ammirare l'Arno e i bellissimi meandri che attraversano la pianura di fronte al Mar Tirreno.


La pianura dell'Arno e il Mar Tirreno visti dal Monte Serra


Alcune di esse hanno delle vene di quarzo e in alcuni casi è possibile ammirare dei piccoli cristalli che sono cresciuti negli interstizi. Se siete particolarmente fortunati potreste trovarne qualcuno grande abbastanza, che vi permetta di riconoscere le facce cristalline, il mio consiglio magari è di cercare anche in terra, molte volte i cristalli più grossi si staccano dalla roccia e rimangono sul terreno e potreste trovarne uno come ho trovato io...


Un cristallo di quarzo, molto comune in questi suoli


Arrivati sotto i ripetitori Rai noi torniamo indietro ma il sentiero prosegue in discesa per arrivare fino al bivio di Prato Ceragiola (quindi potreste fare il percorso inverso, ovvero lasciare la bici nei pressi del ristorante e salire fino al Prato di Calci a piedi). 


Il sentiero che può essere percorso, noi ne abbiamo fatto solo una parte.


Nota di servizio: Il ristorante "I cristalli" ci ha fatto due fette di pane con crudo e fontina da manuale, sia in dimensione che qualità del prodotto...

Scendendo quindi verso Calci, le rocce grigie che ci hanno accompagnato fino ad ora lasciano il posto al panorama e alle Quarziti Bianco-Rosa, ovvero delle arenarie con strutture inclinate rispetto alla stratificazione che ci indica un ambiente deltizio, il limite subacqueo dove i fiumi lasciano i propri sedimenti.  


Le arenarie con ben visibili le strutture di trasporto dei sedimenti


Si arriva quindi al caratteristico e grazioso borgo di Calci, con i suoi ponticelli in pietra e le sue forre che trasportano velocemente i depositi di versante accumulati in queste ultime migliaia di anni. Purtroppo bisogna far notare che il borgo di Calci si trova nel posto meno indicato per costruire un centro abitato, ovvero in una stretta valle già teatro di frane e dove le acque tendono ad accumularsi in caso di forti piogge, aumentando così il rischio idrogeologico. 



Da Calci si può riprendere la SP2, poi la SP38 e tornare verso Vicopisano e quindi Buti, in modo da poter chiudere il percorso e ammirare le grandi cave di Calcare Massiccio (di cui parlerò prossimamente) e attraversare il famoso paese di Uliveto Terme, le cui acque mineralizzate hanno avuto tanto successo in passato e oggi (attraverso dei famosi spot pubblicitari che sponsorizzano l'acqua adatta agli sportivi e per chi vuole essere bella dentro e bella fuori).


Qui sotto la mappa del GeoTrip:


sabato 15 marzo 2014

Geo App: La Geologia nello spazio

Tante volte devo spiegare alla gente che la geologia non serve solo per fare pozzi per l'acqua, relazioni tecniche per fondazioni o cedimenti e per sistemare le frane, la geologia ha vari campi di applicazione che purtroppo in Italia non sono sviluppati.


La geologia dei pianeti: Marte

Uno di questi è sicuramente lo studio dei corpi celesti: eh si cari miei, lo sapevate che sono i geologi che studiano come sono fatti gli altri pianeti? Chi pensate ci sia dietro ai robot Curiosity, Spirit e Opportunity che hanno indagato il suolo di Marte alla ricerca di forme di vita e di acqua? Chi ha conoscenza delle dinamiche che interessano l'evoluzione della superficie e dell'interno del nostro pianeta (e quindi di tutti i pianeti)? I geologi, appunto (comunque sempre in team con gli scienziati di altre discipline come gli astrofisici). 
Tutte quelle foto che hanno emozionato e fatto sognare più di una persona, sono state molto utili per capire che un tempo scorreva acqua sulla superficie di Marte, proprio come qui sulla Terra; le analisi chimiche delle rocce incontrate dai rover sono servite ai geologi per conoscere quali ambienti vi erano e perché quelle rocce si fossero formate... 

Spirit, uno dei rover utilizzati su Marte.
Foto da: Wikimedia.org su concessione di  NASA/JPL-Caltech

Per chi fosse interessato, la NASA ha predisposto una pagina selle ricerche effettuate da Spirit e Opportunity.
Adesso su Marte sta operando anche Curiosity ed è stata aperta una pagina Facebook dove vengono riportate le attività che si susseguono fra cui le analisi delle rocce e dei minerali presenti sul suolo... E ci sono i geologi a studiarle.

I geologi si sono adoperati per analizzare il suolo di Marte in cerca di indizi che provassero che un tempo vi fosse acqua liquida in superficie, elemento base per poter pensare all'esistenza anche di forma di vita: quello che in questi anni è stato scoperto è che Marte poteva ospitare la vita!

In un luogo denominato "Comanche" sono stati trovati carbonati di ferro e magnesio che si possono formare solo in un ambiente caldo e umido, molto favorevole per lo sviluppo di forme viventi...


Immagine in falsi colori delle rocce carbonatiche  individute da Spirit
Fonte:  NASA

Sono stati trovati anche altri indizi come sorgenti di acque termali, come le abbiamo noi sulla Terra in cui fioriscono colonie di microrganismi, oppure i segni di una esplosione vulcanica, che può avvenire solo in presenza di grandi quantità di acqua che interagiscono con il magma basaltico: un effetto che sulla Terra è stato determinante per sostenere la vita che però su Marte non è più attivo.


I segni geologici di una esplosione vulcanica su Marte: una "bomba" caduta su depositi vulcanici soffici.
Solo con la presenza di acqua possiamo ottenerla. Fonte:  NASA

I meteoriti

Dai pianeti ai meteoriti il passo è più che breve e sono ancora i geologi che, attraverso lo studio di questi ultimi, riescono a trarre indicazioni sull'interno del nostro pianeta e sulla sua dinamica, utile per capire terremoti, vulcani, risorse minerarie a altro ancora.

A Prato esiste un Centro di Scienze Planetarie dove è attivo un museo proprio dedicato allo studio dei meteoriti e consiglio a tutti di visitarlo.

Innanzitutto bisogna fare chiarezza su cosa sia un meteorite: è un frammento di un qualsiasi corpo celeste che si sia schiantato sulla superficie terrestre. Se questo non cade ma si dissolve a contatto con l'atmosfera si chiama meteora; il corpo celeste che vaga nello spazio e che ancora non sappiamo se entrerà o no in contatto con il nostro pianeta si chiama meteoroide.

Il meteorite più famoso di tutti è stato chiamato "Allende": atterrato in Messico nel 1969 con i suoi 2000 kg di peso sparsi in frammenti (il più grande è di 100 kg) sotto forma di pioggia di fuoco e pietre, uno spettacolo infernale!


Un frammento di Allende

Esistono diversi tipi di meteoriti e i geologi pensano che possano rappresentare i vari stadi evolutivi dell'interno del nostro pianeta, visto che la Terra non è altro che il risultato dell'accrezione primordiale di miliardi e miliardi di frammenti come Allende...




Esempi di meteorite. Fonte: Wikimedia.org


E proprio questo mese la NASA ha pubblicato delle foto catturate dal telescopio Hubble dove un meteoroide si disintegra misteriosamente...
NASA's Hubble Telescope Witnesses Asteroid's Mysterious Disintegration | NASA

E questo è solo uno dei vari campi di applicazione della geologia! In seguito ve ne svelerò degli altri!