giovedì 26 ottobre 2017

Insetti in calo, rischio Armageddon ecologico


Uno studio ha pubblicato i risultati di una ricerca sulla distribuzione degli insetti volanti in Germania, constatando che l'abbondanza si è ridotta di tre quarti negli ultimi 25 anni.

Gli insetti sono parte integrante della vita sulla Terra, sia come impollinatori che prede per l'altra fauna selvatica; era noto che alcune specie come le farfalle erano in declino ma questo trend deve essere associato a tutti gli insetti. Questo ha fatto sì che sia possibile parlare di un Armageddon ecologico.

La causa dell'enorme diminuzione è ancora poco chiara, anche se la distruzione delle aree naturali e l'uso diffuso di pesticidi sono i fattori più probabili.

"Il fatto che il numero di insetti stia diminuendo ad un tasso così elevato ed in un'area così vasta è una scoperta allarmante", ha dichiarato Hans de Kroon dell'Università Radboud (Olanda) e che ha guidato la nuova ricerca.

"Gli insetti rappresentano circa i due terzi di tutta la vita sulla Terra e adesso si trovano in una fase di declino", ha detto il prof. Dave Goulson dell'Università di Sussex (Regno Unito), che fa parte del team: "Stiamo creando ambienti inospitali alla maggior parte delle forme di vita e se perdiamo gli insetti, tutto il sistema ecologico che sta alla base della vita crollerà".

La ricerca, pubblicata sulla rivista Plos One , si basa sul lavoro di decine di entomologi in tutta la Germania che hanno cominciato raccogliere insetti secondo il medesimo standard dal 1989, tramite trappole disseminate in aree protette e riserve, che gli scienziati dicono, rendono i dati sul declino ancora più preoccupanti. La media annua è diminuita del 76% in 27 anni ma il crollo maggiore - 82% - avviene in estate, quando il numero degli insetti raggiunge il picco massimo annuale.

Insetti catturati in una trappola malessere

I precedenti studi erano limitati a particolari insetti come le farfalle europee, che sono diminuite del 50% negli ultimi decenni; la nuova ricerca invece ha catturato tutti gli insetti volanti, tra cui vespe e mosche che sono raramente studiate, rendendolo un indicatore molto più forte.

Gli entomologi hanno inoltre raccolto dettagliate misure meteo e registrato cambiamenti nelle specie di paesaggio o vegetali nelle riserve, ma ciò non è in grado di spiegare la perdita degli insetti. "Il tempo potrebbe spiegare molte delle oscillazioni all'interno della stagione e tra gli anni, ma non spiega la rapida tendenza al ribasso", ha dichiarato Martin Sorg della Krefeld Entomological Society in Germania, che ha guidato gli entomologi nella loro attività.

Dave Goulson ha ipotizzato che gli insetti possano morire facilmente al di fuori delle riserve naturali. "Il terreno agricolo ha poco da offrire per qualsiasi creatura selvaggia", ha detto. "Ma esattamente ciò che sta causando la loro morte è da approfondire. Potrebbe essere semplicemente che non ci sia cibo o potrebbe essere, in modo più specifico, l'esposizione a pesticidi chimici o una combinazione dei due ".

Gli scienziati hanno detto che sono necessari ulteriori lavori per corroborare i nuovi risultati in altre regioni e per esplorare il problema in modo più dettagliato. Mentre la maggior parte degli insetti volanti muore, coloro che non lo fanno e si allontanano meno facilmente dalle riserve naturali, non subiscono questo crollo. È anche possibile che gli insetti più piccoli e più grandi siano colpiti in modo diverso. In ogni caso, tutti i campioni tedeschi sono stati conservati e saranno ulteriormente analizzati.


Nel frattempo, ha detto De Kroon: "Dobbiamo evitare ciò che crea un impatto negativo, come l'uso di pesticidi e la scomparsa dei terreni coltivati a fiori". "Se la biomassa sta diminuendo realmente a questo ritmo - circa il 6% all'anno - è estremamente preoccupante", ha detto. "Gli insetti hanno delle funzioni ecologiche veramente importanti, per le quali il loro numero conta in modo determinante: Le mosche, le falene e le farfalle sono importanti quanto le api per molte piante da fiore, tra cui alcune colture; forniscono cibo per molti animali - uccelli, pipistrelli, alcuni mammiferi, pesci, rettili e anfibi. Le mosche, gli scarafaggi e le vespe sono anche predatori e decompositori, controllando i parassiti e rinnovando l'ambiente".


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mercoledì 11 ottobre 2017

300 milioni di anni fa, il rischio di una nuova era glaciale globale.

300 milioni di anni fa, sui continenti emersi dell'emisfero boreale ci fu un'esplosione di vegetazione tropicale  che modificò radicalmente il clima a livello mondiale. Quel periodo, chiamato Carbonifero (ma parte anche del più recente Permiano), fu caratterizzato dal fatto che l'abbondante vegetazione, una volta arrivata alla fine del proprio ciclo vitale, veniva sepolta velocemente e rimpiazzata con una nuova generazione. L'anidride carbonica sequestrata dalla vegetazione ancora in vita, non aveva tempo per poter tornare in circolo in atmosfera attraverso la decomposizione e gli incendi naturali. Di conseguenza, la concentrazione di CO2 nell'atmosfera scese drasticamente, a tal punto che la temperatura globale, vista la mancanza di questo importante gas serra, arrivò fin quasi a raggiungere il limite critico per avere una nuova glaciazione totale del pianeta, conosciuta come Terra a "palla di neve". Questo effetto è già avvenuto in passato (fra 600 e 950 milioni di anni fa, e si ipotizza anche due miliardi di anni fa).

Credit: Di XBrain130 - Celestia - Wikipedia

Uno studio dell'Istituto per la Ricerca sull'Impatto Climatico di Potsdam ha evidenziato, tramite simulazioni del paleoclima del periodo, come certe evidenze di sedimenti, resti organici, parametri orbitali, indichino che la concentrazione di anidride carbonica sia scesa fino a 100 ppm (attualmente è poco sopra i 400 ppm). Con la stessa configurazione, se la concentrazione fosse arrivata a soli 40 ppm, si sarebbe innescato l'effetto "palla di neve". 

La CO2 sequestrata dalla vegetazione durante il Carbonifero e rimasta sepolta per centinaia di milioni di anni, viene adesso reimmessa in atmosfera attraverso le miniere di lignite, carbone ed antracite che l'uomo ha aperto. Il materiale estratto viene bruciato per ottenere energia e per riscaldamento ed infatti la concentrazione di anidride carbonica sta salendo vertiginosamente, almeno dall'inizio del'era industriale.

"Dobbiamo assolutamente non oltrepassare i 450 ppm di CO2 per mantenere il nostro clima stabile. Oltre questo limite significa spingere noi stessi fuori dallo spazio operativo sicuro della Terra", dicono i ricercatori. "Il passato della Terra ci insegna che i periodi di riscaldamento rapido sono spesso associati ad eventi di estinzione di massa, il che dimostra che un clima stabile è qualcosa da apprezzare e proteggere".

giovedì 5 ottobre 2017

L'Homo Sapiens ha lasciato l'Africa in seguito a un deciso cambiamento climatico

I genetisti hanno scoperto già da alcuni anni che la nostra specie, l'Homo Sapiens, proviene dal Corno d'Africa; le cause che hanno portato alla diaspora rimanevano però oscure.

Un cambiamento climatico è stato da sempre considerato il maggior indiziato ma nessuno aveva ancora fatto analisi finalizzate a confutare questa ipotesi.
Alcuni scienziati hanno scoperto che, circa 70.000 anni fa, il clima nel Corno d'Africa è passato da una fase umida, chiamata "Green Sahara", ad una arida che corrisponde a ciò che vediamo oggi in quella regione.

I ricercatori dell'Università dell'Arizona hanno tracciato il clima del Corno d'Africa, partendo da 200.000 anni nel passato analizzando i sedimenti oceanici campionati nella parte occidentale del Golfo di Aden. Prima di questa ricerca non c'era alcun record circa il clima dell'Africa nordorientale al tempo della migrazione umana fuori dall'Africa.
La ricerca è stata pubblicata online questa settimana. "I nostri dati dicono che la migrazione è avvenuta dopo un grande cambiamento ambientale. Forse la gente è andata via perché l'ambiente si è deteriorato", hanno detto gli scienziati. "La desertificazione potrebbe essere stata la forza motrice per la migrazione".

La prima sfida è stato trovare il sito adatto in cui reperire i sedimenti più vecchi. I ricercatori hanno chiesto l'aiuto dei curatori del "Repository di Lamont-Doherty Core", che custodisce i campioni di sedimento di ogni area marina ed oceanica. I curatori hanno trovato un campione raccolto dal Corno d'Africa nel 1965 che poteva essere adatto. Quel campione ha reso dati fino a 200.000 anni nel passato.

Dalla materia organica residua (alkenoni di alghe marine e resti vegetali continentali) sono stati ricavati i dati della temperatura e di pioggia con un intervallo temporale di circa 1600 anni.

I risultati del team sono corroborati da ricerche di altri investigatori che hanno ricostruito il clima regionale utilizzando dati raccolti da una formazione di grotte in Israele e dalle analisi di sedimenti provenienti dal Mediterraneo orientale. Questi risultati suggeriscono che questo evento di aridità è avvenuto a scala molto ampia, ovunque nell'Africa nordorientale.

Link alla pubblicazione

credit:Pixabay

martedì 3 ottobre 2017

L'impatto antropico ha modificato la storia del nostro pianeta

Gli scienziati del gruppo di lavoro sull'Antropocene dell'Università di Leicester hanno presentato i risultati di una ricerca, iniziata nel 2009, in cui si suggerisce che l'impatto umano sul pianeta è ormai cresciuto a tal punto da modificare il corso della storia geologica della Terra.

Vi sono eventi incompatibili con il tipico clima dell'Olocene (iniziato circa 11500 anni fa): l'accelerazione dei tassi di erosione e sedimentazione; perturbazioni chimiche su larga scala nei cicli di carbonio, azoto, fosforo e altri elementi; l'inizio di un cambiamento significativo al clima globale e al livello del mare; infine cambiamenti biotici, compresi picchi senza precedenti di acme in alcune specie.

I ricercatori suggeriscono che la velocità e l'ampiezza degli effetti delle attività umane sul nostro pianeta abbiano raggiunto livelli tali da aver cambiato il corso della storia geologica della Terra. L'Olocene rappresenta un periodo che non corrisponde più a ciò che attualmente stiamo registrando, principalmente come eventi estremi. Ecco la necessità quindi di proporre ufficialmente una nuova epoca come l'Antropocene, un concetto presentato dal ricercatore Nobel per la scienza Paul Crutzen nel 2000.
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Il professor Mark Williams, della Facoltà di Geografia, Geologia e Ambiente dell'Università di Leicester, ha dichiarato: "Geologicamente, la metà del XX secolo rappresenta il livello più ragionevole per l'inizio dell'Antropocene, poiché ha portato grandi cambiamenti globali a molti dei i cicli chimici fondamentali della Terra come quelli del carbonio, dell'azoto e del fosforo; anche quantità molto grandi di nuovi materiali come la plastica, il calcestruzzo e l'alluminio, che contribuiranno a costruire gli strati del futuro ".

I ricercatori stanno lavorando anche alla individuazione di un possibile GSSP  (un livello di riferimento all'interno di strati recenti da qualche parte del mondo che meglio caratterizzerebbe i cambiamenti dell'Antropocene) da presentare alla Commissione Internazionale di Stratigrafia.

Già avevo scritto due post riguardo altre teorie sull'Antropocene, che vi invito a leggere nuovamente.

Link per l'intervista audio in lingua inglese.